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I conoscenti: «Paolo soffriva di amnesie». Le colleghe di Rita: «Una bravissima infermiera»

I conoscenti: «Paolo soffriva di amnesie». Le colleghe di Rita: «Una bravissima infermiera»

17 Agosto 2018, 11:41

MARA VAROLI

In via Parmigianino a Madregolo le villette a due piani hanno le tapparelle chiuse. Un quartiere in cui la maggior parte dei residenti è ancora in ferie.

Anche Paolo e Rita erano in vacanza in Val Gardena, quando è accaduta la tragedia. E al piano rialzato del numero 11, dove i Zoni abitavano, i fiori sono appassiti e nel piccolo giardino l'erba è già alta. «Li vedevamo poco - dice una vicina -. Andavano via presto per lavoro e nei giorni di riposo si muovevano in auto per fare qualche giretto, sempre con il loro inseparabile cane». A Madregolo gli Zoni sono arrivati nel maggio scorso: «Una famiglia normalissima, come ce ne sono tante - continua la vicina -. E quello che è accaduto davvero non si spiega, è difficile da credere. Siamo tutti sconvolti, rimasti a bocca aperta». E un'altra vicina aggiunge: «Lui era spesso in giardino e lei, quando non era al lavoro, stava in casa. Non li ho mai sentiti litigare, mai una discussione. Parlavano spesso con la loro cagnolina: "Vai dalla mamma o vai dal papà". E devo dire la verità: addirittura lei, la signora Rita, non l'abbiamo mai vista».

Prima di Madregolo, gli Zoni abitavano a Collecchio, in corso Eguaglianza, proprio di fronte al municipio, in centro al paese. Una famiglia benvoluta, «anche se Paolo - ricorda un residente - ultimamente aveva avuto dei problemi. Da un anno e mezzo accusava episodi di amnesia, per cui gli capitava di entrare due volte nello stesso negozio, perché non ricordava di esserci già stato, ma anche di non sapere come ritornare a casa: di perdersi. E Rita era molto preoccupata, anche se diceva che ultimamente grazie alle cure Paolo stava meglio». Una patologia che forse è sopraggiunta un anno e mezzo fa, quando è venuta a mancare la mamma di Paolo, Ismede Zoni, che abitava a Collecchio con loro. «Venivano al bar tutti i giorni per prendere il caffé - rammenta Samantha, la barista del Merrik -. Due persone molto gentili, distinte. E ieri quando abbiamo visto la Gazzetta...aiuto». «Io ho lavorato con Paolo 20 anni e forse più - assicura Roberto, della cooperativa «Il Colle» -. Adesso da qualche tempo era in pensione. Era bravo, un buon collega».

«Due persone buone come il pane - interviene una vicina di casa -. Nessuno poteva pensare che sarebbe capitata una cosa del genere, tant'è che subito abbiamo persino pensato che la Gazzetta avesse sbagliato i nomi: siamo tutti angosciati. Due perone che lavoravano, andavano a fare la spesa, poi qualche gita e le vacanze. Sì lui aveva avuto qualche problema di amnesia, ma era tutto sotto controllo».

LE COLLEGHE

MARA VAROLI

«Nessuno si sarebbe aspettata una cosa del genere». Sguardi abbassati alla Casa della Salute del quartiere Montanara. Nell'ambulatorio prelievi, le colleghe di Rita sono al lavoro. E non si danno pace per quello che è accaduto alla loro amica, «una bravissima infermiera», sussurrano.

«Lavoravamo insieme da nove anni, fianco a fianco, tutti i giorni - racconta Daniela -. In questo ambulatorio di prelievi e ritiro esami c'è sempre un viavai continuo e raramente possiamo anche scambiarci due chiacchiere. Ma chiaramente non sono mancati i momenti per stare insieme».

Daniela è sconvolta e dice di non pensare ad altro, a quello che è successo a Rita, uccisa a coltellate nella camera d'albergo: «Due persone tranquille, riservate, che parlavano poco delle loro cose - continua Daniela -. Paolo soprattutto era una persona chiusa, molto sensibile e timida: si commuoveva facilmente, anche davanti a un film piangeva spesso. Due persone che vivevano una per l'altra: basta dire che Paolo ogni giorno mandava a Rita un messaggio sul telefonino per sapere cosa lei avrebbe voluto da mangiare a pranzo o a cena. Ma anche per la lista della spesa. E ripeto, Rita era una bravissima infermiera, molto in gamba. Tra noi girava la voce che "Quando c'è qualcosa che non sai, chiedilo a Rita". Si è sempre informata su tutto, sulle patologie più diverse: era una persona molto preparata nella sua professione».

Rita Pissarotti, 60 anni, dall'Unità coronarica dell'ospedale Maggiore era passata a lavorare nei servizi dell'Ausl, fino alla Casa della Salute di via Carmignani. Le piaceva cucinare, adorava i fiori e si interessava alla maglia e all'uncinetto: «Sapeva riconoscere un capo quando era fatto a mano - ricorda ancora Daniela -. Oltre alla spesa al supermercato, Paolo e Rita andavano anche per mercatini e ogni tanto a Monchio, dove c'erano i parenti di lui e dove si poteva andare a funghi. Poi, c'erano le vacanze in montagna e le gite con un gruppo del quartiere Montanara: prima di andare in Val Gardena, erano stati infatti a Roma. Vacanze che si potevano permettere solo ora, dopo la morte della mamma di Paolo, perché prima non si allontanavo volentieri per timore di lasciarla sola. Da quando Paolo era andato poi in pensione, avevano deciso di tenere una sola automobile, per cui lei non guidava più ma si faceva portare al lavoro dal marito». Insomma, una coppia inseparabile. Che si era conosciuta ad una festa e che si era sposata nel 1982. Nessun figlio, ma con quella cagnolina, Dourly, che era la loro «bambina».

«Forse anche Rita il prossimo anno sarebbe riuscita ad andare in pensione - abbassa il tono di voce Daniela, ancora choccata dell'accaduto -. E adesso che non c'è più, noi colleghe vorremmo almeno accompagnarla per l'ultimo saluto».

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