Un’estate davvero complicata quella di quest’anno.
Complicata è forse poco, anche perché, tutte quelle libertà che ci eravamo presi in passato, ora sono state compromesse seriamente da questo maledetto virus che penalizza specialmente i bambini i quali, non solo in spiaggia, ma anche in città, devono sottostare a certe regole che non vanno certamente d’accordo con la loro naturale esuberanza, con la loro vivacità e con la loro voglia di stare all’aria aperta.
Ma andiamo ora con la memoria alle estati dei ragazzi di parecchi anni fa e facciamo un salto indietro con la memoria agli anni Cinquanta-Sessanta Ad orari stabiliti, per i ragazzi, scattava il momento di radunarsi nel borgo, nel viale o nella piazzetta. I cellulari non erano nemmeno nell’immaginario delle menti più fantasiose, però un cellulare «fai da te» esisteva. Si individuavano due lattine alle cui estremità si praticavano altrettanti fori attraverso i quali potesse passare un filo che andava annodato ai fori stessi affinché non «scappasse». Una volta preparato il «telefono», un ragazzo da un capo e l’amico dall’altro, tenendo ben teso il filo, comunicavano a distanza. La comunicazione poteva avere ancor più successo se il filo veniva passato con cera e con pece da calzolaio. Il risultato? Qualcosa si riusciva a sentire ma, data l’esigua distanza, erano più le parole urlate di chi stava dall’uno e dall’altro capo del «marchingegno» che quel borbottio che proveniva dalle lattine di conserva o di fagioli. I giochi si inventavano, come si creavano pure gli strumenti atti a praticarli, e non sempre in sicurezza, come fionde e cerbottane. Altri giochi e passatempi di ieri erano le gare con le figurine dei calciatori, i Giri d’Italia o i Tour de France sui marciapiedi o sui muretti con i sinalcoli delle varie bibite all’interno dei quali, con tanto di dischetti di vetro e stucco che le tenevano ferme, gareggiavano le teste dei più famosi ciclisti del tempo. I sinalcoli più pregiati erano quelli «rosso- Ferrari» del «Campari Soda» forse perché un po’ più larghi e bassi degli altri e quindi più veloci. Quando i bottegai riordinavano la merce che estraevano dalla confezione, i cartoni, venivano subito prelevati e, con quella protezione sotto il sedere, i ragazzi si cimentavano in spericolate discese il tutto naturalmente a discapito dei pantaloni che, nella migliore delle ipotesi, si tingevano del verde dell’erba. Ed ancora: «nascondino, «mosca cieca», le varie «conte», le gare con le biglie colorate sulle montagnole di sabbia dei vari cantieri che stavano nascendo come funghi. Le ragazze, invece, prediligevano «regina reginella» dove, la bimba che impersonava la regina, impartiva ordini ai suoi sudditi, le «belle statuine» ed altri giochi al femminile. I maschi, meno informatizzati, ma più turbolenti di quelli di adesso, amavano molto i motori che però erano tabù, altro che scooter, motorini e robe varie! I più fortunati possedevano una bici alla quale si poteva montare un… «motore». Ed allora, con l'impiego di un paio di cartoline fissate ai raggi con una molletta da bucato, la bici, si trasformava come per magia, in una Gilera dal motore in verità un po’ «spernacchiante». C’era chi usava, al posto delle cartoline, le carte da briscola del nonno. Ma erano guai seri quando, alla rituale briscola del pomeriggio con gli amici sotto il bersò, l’anziano scopriva che, dal mazzo, era scomparsa la «pita» o il «fante» di spade. Altri, invece, optavano per «al carètt» e cioè un mix di assi di legno con quattro ruotine a sfera sul quale, dopo una poderosa spinta, il «centauro» saliva sdraiandosi provando l’ebbrezza di spericolate discese. Il tutto, con inevitabili capitomboli che costringevano la mamma, o chi per essa, a fare impacchi sulla parte contusa del ragazzo con carta da zucchero o da macellaio (la prima di un azzurrone scuro, la seconda giallo - paglia) imbevute d’acqua. Se mancavano gli sms, esistevano però i fischi. Infatti, i ragazzi di ieri, sapevano fischiare e, soprattutto, rispetto a quelli di adesso, sapevano sognare. C’era il fischio di raduno, il fischio di chiamata e quello di pericolo e cioè quel fischio lancinante che il più abile emetteva quando l’ortolano o, peggio ancora, «al guärdji», tendevano una trappola a quei monelli che si introducevano furtivamente negli orti per fare razzia di frutta o giocavano con il pallone in mezzo alla strada. I più grandicelli, durante le prime roventi ore del pomeriggio, a cavallo della bici, si spingevano oltre la Centrale del Latte dove la campagna regnava sovrana e lì, sulla strada del Budellungo, poco prima dello stabilimento dell’Althea, si crogiolavano sotto la doccia delle pompe idrovore che irrigavano i campi, dopo di che una scorpacciata di pomodori o di gelsi bianchi e rossi non poteva certo mancare. All’altezza della «Cà dal Vèsscov» (Villa Nazzani), da uno stretto accesso della mura, alcuni temerari si avventuravano in un «gaziär» (boschetto di gaggie) per scendere, disturbando qualche coppia di morosi, nel greto della Parma. E lì, in quel fondone, sotto il Ponte Dattaro, facevano il bagno mentre i più «sgàggi» (smaliziati,furbi) provavano a «grottare» catturando qualche «cavasèn» o qualche carpa. E, alla sera, al Tardini, a fare da raccattapalle nelle partite della Coppa dei bar. Tutt’intorno aromi di chinotto, tiglio ed anguria.
I profumi delle care vecchie estati parmigiane.
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