×
×
☰ MENU

La battaglia di Natale del '43: a Osacca inizia l'ora della Resistenza

La battaglia di Natale del '43: a Osacca inizia l'ora della Resistenza

di Fiorenzo Sicuri

26 Dicembre 2020, 09:55

La Gazzetta, all'epoca organo del P.F.R.,  diede notizia  dell’esistenza  di un movimento locale armato e antifascista. In un bollettino comparve  il nome della formazione garibaldina «Guido Picelli» 

Fra l’8 e il 9 settembre 1943, le divisioni germaniche s’impadronirono dei gangli vitali della provincia di Parma: i pochi ed eroici episodi di opposizione delle forze armate italiane furono sconfitti in poche ore, e da quel momento i nazisti divennero egemoni nella provincia. Fra la meta di settembre e il dicembre 1943, il fascismo parmense aveva cercato di ricomporre le sue forze, dopo il crollo del 25 luglio. Si era insediata la federazione parmense del Partito Fascista Repubblicano; un certo numero di fasci nelle zone rurali e di gruppi rionali in città, oltre che il fascio femminile e il Gruppo Universitario Fascista, erano stati anch’essi ricostituiti. 
Si erano riorganizzate le organizzazioni di massa del passato regime: la Gioventù Italiana Repubblicana, l’Opera Nazionale Dopolavoro, le corporazioni e i sindacati. Inoltre, furono nominati un certo numero di podestà e commissari nei comuni e nelle principali istituzioni cittadine, che presiedevano all’attività amministrativa. Sebbene in tono minore, e soprattutto in quantità molto ridotta rispetto al passato, la complessa articolazione del regime tendeva a riproporsi. In realtà, un’ampia quota di fascisti non aderì alla Repubblica Sociale Italiane: il caso più clamoroso fu Remo Ranieri, il maggior leader del fascismo locale fra le due guerre. Altri se ne rimasero defilati, collocandosi in un’ampia zona grigia che tendeva a non schierarsi; alcuni passarono nel campo dell’antifascismo. 
L’amministrazione germanica era perfettamente consapevole dello scarso credito che riscuoteva il rinato fascismo di Salò. Nei suoi periodici rapporti, i giudizi della Militärkommandatur 1008, i cui compiti erano soprattutto di natura burocratica e amministrativa e riguardavano l’amministrazione del territorio, dei suoi abitanti e delle sue risorse, con sede a Parma e giurisdizione sulle tre provincie del Nord Emilia, erano perentori e costantemente negativi sulla R.S.I. e sul P.F.R.: alla metà del gennaio 1944, ad esempio, affermava che «la maggioranza della popolazione si oppone non solo al Partito fascista repubblicano, ma anche alla forma repubblicana dello Stato. L’avversione personale viene espressa apertamente in misura sempre crescente. Il nuovo Stato italiano trova sostegno solo nel gruppo relativamente esile dei membri del Partito fascista. […] I sostenitori del partito sono chiamati dal popolo “repubblichini”, ma questo termine sembra avere sempre un chiaro significato denigratorio».

Inoltre, in questi primi mesi della resuscitata dittatura, la provincia era percorsa da persone in fuga. Scappavano gli sbandati dell’esercito italiano che cercavano di scampare il pericolo dell’arresto e dell’internamento da parte dei nazisti e tentavano di raggiungere le proprie famiglie. Fuggivano i prigionieri anglo-americani evasi dai campi di prigionia, in particolare dal campo di Fontanellato, diretti verso la Svizzera o verso il fronte, per ricongiungersi alle armate che salivano verso il Nord. Si dileguavano molti ebrei parmensi, già colpiti dalle leggi razziali del 1938, che cercavano scampo da una tragica sorte, così come gli ebrei italiani evasi dai campi di concentramento di Monticelli e di Scipione e, infine, gli ebrei stranieri deportati dalle zone di occupazione italiana in Jugoslavia, che erano vissuti fino a quel momento in regime di semi-libertà.

Sia pure nelle vulnerabili regole di una difficile e angusta clandestinità, anche l’antifascismo si muoveva: in modo cauto, in questi mesi, si avviava verso la Resistenza. A metà di ottobre, con difficoltà, si costituì il Comitato di Liberazione Nazionale parmense, ma l’azione dei partiti antifascisti che lo costituivano era ancora stentata, con l’eccezione dei comunisti, l’unico partito fornito di un’organizzazione con una certa consistenza numerica, un’articolazione e una ramificazione, che cercavano di organizzare la lotta armata. Dai documenti coevi, s’intravedono anche, come in una nebulosa vaga e frammentata, le prime azioni militari degli antifascisti. Già in ottobre, qui e là, in alcune località i fascisti segnalavano movimenti d’armi e tentativi di organizzare bande di “ribelli”, con qualche modesta azione: conati che non approderanno a granché, per il momento. In novembre-dicembre si formarono i Gruppi di Azione Patriottica in città, che peraltro per varie ragioni non compirono azioni di una certa portata sino ai primi mesi del 1944, e si formarono i primo distaccamenti partigiani in montagna. Negli stessi mesi si segnalavano alcuni modesti e casuali scontri armati e qualche raro attentato a fascisti, come le bombe a mano lanciate contro il segretario del fascio di Salsomaggiore, peraltro senza conseguenze. 
Ma il primo vero e proprio scontro armato, oltre le scaramucce precedenti e gli attentati, avvenne a Osacca, frazione del comune di Bardi, il 25 dicembre del 1943. Un rapporto del 2 gennaio 1944 steso dall’ispettore generale di Pubblica Sicurezza, Domenico Coco, informava sull’episodio con un certo dettaglio: «il 25 scorso dicembre a Bardi è avvenuto uno scontro tra un reparto di militi dell’80° Legione ed una trentina di sbandati o sovversivi, che asserragliati in una casa ed armati anche di armi pesanti, resistettero e potettero sottrarsi alla cattura, portando via a quanto viene assicurato alcuni morti e feriti. Pare poi che nelle ultime notti aerei nemici avrebbero lasciato cadere con un paracadute alcuni pacchi di vestiario e di scarpe, evidentemente per rifornire detti ribelli. Tutto ciò fa ritenere che agenti al soldo del nemico provvedano all’organizzazione ed armamento di truppe ribelli, che vivrebbero alla macchia sulle montagne. Pure a Bardi un reparto della polizia germanica ha catturato prigionieri inglesi e il loro favoreggiatore». 
A parte la presenza di lanci eseguiti da aerei anglo-americani (che lo stesso ispettore poneva in maniera dubitativa), è la relazione più circostanziata di cui disponiamo sul fatto di Osacca, sebbene dimentichi di ricordare che i nazi-fascisti erano stati guidati sul luogo da una spia; qualche giorno prima, il Questore di Parma aveva precisato che erano stati catturati otto prigionieri inglesi e sei «ribelli» e tre partigiani uccisi.

Ciò che diede rilevanza a questo conflitto armato, non fu tanto l’evento in sé, quanto invece lo spazio che la «Gazzetta di Parma» diede all’accadimento. Per la prima volta, in regime di censura severa sulla stampa (i giornali erano ridotti spesso a 2 pagine per la carenza di carta, e al massimo raggiungevano le 4 pagine), il giornale locale, organo in quel momento del P.F.R. e diretto da Pino Romualdi, esponente dell’ala radicale ed estremista del fascismo repubblicano, diede notizia chiara e tonda dell’esistenza di un movimento locale, armato e antifascista, sicché l’opinione pubblica ne venne esplicitamente informata, al di là dei toni sprezzanti e acrimoniosi dell’articolo. Fu l’elemento che impresse Osacca nella memoria collettiva, diventando di pubblico dominio e, in tal modo, innalzandosi a leggenda. Era la prima volta che il giornale si occupava in esteso dei “ribelli” e ciò diede all’episodio una risonanza tale da farlo considerare come il punto di partenza della Resistenza in provincia di Parma, la data canonica dell’inizio e da quel giorno tale è rimasta. Il 31 dicembre, il giornale parlò esplicitamente dell’avvenimento: «Formazioni della Guardia [Nazionale] Repubblicana, in perlustrazione nella zona di Bardi, hanno nei giorni scorsi catturato alcuni elementi armati i quali hanno segnalato la presenza di un gruppetto di sbandati aggirantisi sui monti. I militi venuti successivamente a contatto con il gruppo ne catturavano diversi componenti tra i quali alcuni prigionieri inglesi datisi alla latitanza, mentre il rimanente del gruppo si allontanava e si disperdeva fra i boschi». Inoltre, così commentava la «Gazzetta»: «L’operazione che ha permesso l’eliminazione di questi elementi è stata resa nota in Provincia da un “bollettino” a ciclostile tanto buffo quanto menzognero che vorrebbe far credere alla popolazione l’esistenza di ingenti forze ribelli che si battono per la Patria; mentre non si tratta che di sparuti gruppi di sbandati e stranieri e di piccoli farabutti comuni ormai nettamente individuati e che vivono rubacchiando e minacciando nelle pacifiche case dei nostri montanari». Si è reperito il «buffo» e «menzognero» bollettino, che qui pubblichiamo. Sino a oggi sconosciuto e dato per disperso, il bollettino ci informa che esisteva un raggruppamento di “Formazioni Garibaldine Guido Picelli” (sinora si sapeva che la prima Brigata Garibaldina operante nel parmense fosse stata la Brigata Garibaldi “Nord Emilia”), di cui il distaccamento che aveva agito a Osacca era parte. Tale raggruppamento era inquadrato nella II Zona garibaldina, zona che comprendeva presumibilmente le provincie di Parma, Piacenza, Reggio Emilia e Cremona, e forse raccoglieva distaccamenti delle diverse provincie. 
Infine, il comando militare delle “Formazioni Garibaldine Guido Picelli” considerava i fatti di Osacca come la terza azione compiuta e preannunciava che sarebbe seguito un bollettino più dettagliato, ancora da rintracciare. Il bollettino forniva una versione piuttosto differente dell’evento rispetto alle fonti fasciste sinora considerate. Sosteneva, infatti, che alle forze avversarie fu inflitta una «dura lezione»: «Dopo qualche ora di combattimento i nazi-fascisti, nonostante [fossero] di gran lunga superiori numericamente, dovettero ritirarsi lasciando numerosi feriti sul terreno e importante bottino bellico». Infine, lanciava un appello ai parmigiani chiedendo «solidarietà ed aiuto, reclutando nuovi uomini ed armi necessarie per estendere sempre più la nostra lotta fino alla liberazione della Patria». Non è facile stabilire la versione esatta dell’azione e chi avesse vinto o perso la piccola battaglia ma, di là dagli esiti del combattimento, Osacca ebbe un significato storico per la provincia che andava oltre il fatto in sé: risultò l’origine palese della lunga, travagliata e drammatica marcia, almeno per una parte dei parmigiani, verso la libertà.

© Riproduzione riservata

CRONACA DI PARMA

GUSTO

GOSSIP

ANIMALI