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«Per come posso», il senso di una fuga tra Lipari e l'arte dei fiamminghi

«Per come posso», il senso  di una fuga tra Lipari e l'arte dei fiamminghi

16 Ottobre 2020, 12:21

Il nuovo libro di Marco Pozzali

Abbandonando per un poco la propria passione professionale, i vini d’autore e le loro prestigiose etichette, Marco Pozzali ci regala la storia–romanzo «Per come posso» edito da Diabasis che confluisce in un territorio in cui Pozzali ha già raggiunto notevoli risultati di fantasia e di invenzione come «Le nuvole non aspettano» e «Fuori dal tempo». Ma questa volta Pozzali è andato oltre, scartando le facili prospettive di una semplice narrazione per possedere semmai il suo contrario, cioè quella narrazione appunto che si manifesta nel “cambiare strada” – scrive Franco Faggiani in seconda di copertina – un cambiare strada che dal sentimento passa alla commozione e dalla commozione alla ricerca di un’identità perduta espressa dal narratore con questa frase: “se l’era costruita una carriera medica di altissimo livello e ora l’aveva appallottolata come un pezzo di carta straccia che nulla conta, una pagina inutile da gettare. E infatti lui l’aveva gettata una palla di carta priva di contenuto, così rifletteva ora.” Tutto il romanzo poggia su questa riflessione e sul concetto di fuga che sta alla base (motore e motivo segreto) di molti soggetti narrativi contemporanei. Dagli ovattati salotti di Milano agli scalcagnati bar di Lipari: ecco il viaggio, due concezioni dell’esistenza che confliggono senza che l’una prevalga sull’altra nel medico anatomopatologo. A questo punto, ci suggerisce Pozzali, subentra la pittura col proprio fascino imprendibile. Chi leggerà il romanzo se ne accorgerà per la comparsa di un grande nome, quello di Van Eych e della sua realtà spesso misteriosa, sicché Alberto P. ne diventa vittima, ma anche appassionato ricercatore e quindi un uomo che nell’incertezza e nell’indecisione cerca non solo una ragione di vita nuova, ma anche il registro profondo della propria umanità e ragion d’essere. Ragione che se da un lato gli sembra il tormento della solitudine e del distacco dalla vita, dall’altra trova invece compenso in quella passione della pittura – quella dei fiamminghi in particolare – che sarà come il mare o tranquillo o tempestoso di Lipari dentro e fuori il reparto dell’ospedale subìto come rifugio e condanna: “l’enorme congerie di parole accumulata pazientemente in trent’anni di studio e di scrittura.” Marco Pozzali crede molto nel proprio personaggio, lo ascolta, lo interpreta e lo preme dentro una specie di “ricercatissimi particolari” che conferiscono ad Alberto P. e alle sue azioni e decisioni sia la quotidianità, sia la morale, sia un effetto ben descritto e analizzato anche dallo scrittore quando inserisce nella propria storia quella di un altro maestro di pittura e di suggestione psicologica Rogier van der Weyden con il suo “Ritratto di giovane donna”. Anche a questo proposito Alberto P. diventa e rimane simbolo di una ricercata identità mentre la vicenda si conclude con la domanda importante e decisiva del libro: “quale altro cielo aveva osservato in tutta la sua vita che potesse accogliere in bellezza quello che si trovava a guardare ora dal suo terrazzo ?”. Una meraviglia di natura e pittura, dunque perfetta.
 

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