Ironia e suspense, un'interpretazione istrionesca,
un sontuoso bianco e nero: il capolavoro compie 55 anni
di Michele Ceparano
Il Dottor Stranamore, cinquantacinque anni e non sentirli. Quello che è stato uno dei tanti capolavori di Stanley Kubrick - per citarne alcuni: «Orizzonti di gloria», «2001: Odissea nello spazio», «Arancia meccanica», «Barry Lyndon» e «Shining» - uscì infatti nel gennaio del 1964. Il film in realtà era pronto nel '63 ma, a causa dell'assassinio di John Kennedy, l'uscita venne posticipata. Titolo originale lunghissimo e traduzione italiana fortunatamente letterale («Il Dottor Stranamore: ovvero come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba»), ancora oggi, oltre mezzo secolo dopo, offre spunti di riflessione. Liberamente tratto da «Red Alert», un romanzo di Peter George, è stata una delle più riuscite metafore della guerra fredda e della paura in generale di un conflitto nucleare.
Da qualcuno ritenuto ultimamente - e frettolosamente - datato (ma assistendo ai fatti di questi ultimi tempi, con la tensione Usa-Russia salita alle stelle, non si direbbe poi così tanto), Stranamore è un film che non passa di moda. Ma perché, chi non lo ha ancora visto, magari i più giovani, dovrebbe farlo oggi, cinquant'anni dopo? Ecco qualche motivo. A livello di interpretazione, fu un inno a Peter Sellers. L'attore forse più amato da Kubrick, che aveva recitato con il grande cineasta anche in «Lolita» con risultati davvero straordinari, nel «Dottor Stranamore» si supera addirittura interpretando ben tre personaggi: l'ufficiale inglese, il presidente degli Stati Uniti e l'indimenticabile consigliere militare, ex nazista dal braccio finto, neppure troppo velato riferimento agli ex passati dopo la Seconda Guerra Mondiale nel campo avverso.
Sellers, che avrebbe dovuto interpretarne anche un quarto, che poi venne portato sullo schermo, sempre con risultati indimenticabili, da Slim Pickens, qui si dimostra il solito gigante. E lo è in un film che annovera tra gli interpreti «mostri sacri» come Sterling Hayden, George C. Scott e lo stesso Pickens. Ma Stranamore, cinquantacinque anni dopo, resta attuale soprattutto per il «taglio», da commedia nera, che Kubrick gli diede. Il perché lo spiega Filippo Ulivieri, curatore del prezioso sito archiviokubrick e autore, assieme a Emilio D'Alessandro, uomo di fiducia del grande regista, del libro «Stanley Kubrick e me» (Il Saggiatore, 2012). Per sottolineare l'attualità - e quindi l'immortalità - di Stranamore parte da una riflessione proprio di Kubrick sul film.
«L'idea di farlo come una commedia - dichiarava il cineasta - è nata nelle prime settimane di lavoro sulla sceneggiatura. Ho realizzato che mentre cercavo di rimpolpare le scene dovevo trattenermi dall'includere tutte le cose assurde o paradossali che mi venivano in mente per evitare che diventasse comico. Eppure queste cose mi sembravano in realtà vicine al nocciolo della questione. Così mi sono detto "devo avere l'approccio sbagliato, perché sto eliminando tutte le idee migliori solo perché faranno ridere la gente. Ma certo! Quello che devo fare è dell'umorismo nero".
Dopotutto, cosa potrebbe essere più assurdo dell'idea di due superpotenze intenzionate a spazzar via l'intero genere umano per via di un incidente, sullo sfondo di divergenze politiche che tra cento anni ci sembreranno così irrilevanti come le dispute teologiche del Medioevo?». Secondo Ulivieri «questa sublimazione del terrore nucleare in chiave comico-grottesca è stato il colpo di genio di Kubrick: rendendo astratto il dramma che il mondo viveva durante la Guerra Fredda, Kubrick ha reso il film immortale. L'analogo "A prova di errore" (Sidney Lumet, 1964), che trattava il tema in chiave seria e drammatica, viene visto oggi solo come un film che ci ricorda il clima di quegli anni. Il Dottor Stranamore al contrario continua a essere tuttora un monito caustico sulla schizofrenia delle élites politico-militari. La sua irriverenza ci permette di guardare nell'abisso della follia umana.
Come diceva Kubrick citando Eliot, la commedia è il solo modo rimasto con cui si può parlare di temi seri». Post scriptum. Gran parte del film del regista newyorkese si svolge nella cosiddetta war room, la sala della guerra, una location passata alla storia del cinema. A tal proposito si dice che il presidente americano Ronald Reagan, appena entrato alla Casa Bianca, chiese di poterla visitare suscitando stupore tra i presenti, i quali dovettero comunicargli, non senza qualche imbarazzo, che non esisteva nessuna war room. In «Tu chiamami Peter», film sulla vita di Sellers del 2004, c'è un omaggio a Stranamore con il remake di alcune celeberrime scene nella war room. Imitazione riuscita, ma l'originale è fantastico.
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LA NOTTE MAGICA DELL'INTER
La finale della Coppa dei Campioni del 63/64 venne vinta dall'Inter allenata da Helenio Herrera sul Real Madrid di Di Stefano e Puskàs. A Vienna finì 2-1, con i gol nerazzurri segnati da Mazzola e Milani. Una stagione memorabile.
IL DEBUTTO DEI ROLLING STONES
17 aprile 1964, i Rolling Stones pubblicano l'album, omonimo. E' il primo della discografia inglese del gruppo. Si compone di dodici canzoni, nove sono cover, due scritte in gruppo e una composta dalla coppia Jagger/Richards.
UNA TREVIGIANA E' MISS ITALIA
La diciannovesima edizione di Miss Italia si svolse a Salsomaggiore Terme, in un'unica serata, il 6 settembre 1964. Vinse la ventenne Mirka Sartori, proveniente dalla provincia di Treviso.
IL CAMPIONE: ANQUETIL PADRONE DEL TOUR E DEL GIRO
Il Tour de France del 1964, cinquantunesima edizione della celebre corsa a tappe francese, fu vinto per la quinta e ultima volta da Jacques Anquetil. Al traguardo finale il campione transalpino aveva un vantaggio di appena 55 secondi sul connazionale e storico rivale Raymond Poulidor.
Al terzo posto lo spagnolo Federico Bahamontes. Il quinto successo di Anquetil rappresentava a quel tempo un record assoluto, che in seguito venne eguagliato soltanto da tre campionissimi, Eddy Merckx, Bernard Hinault e, da ultimo, Miguel Indurain. Anquetil vinse anche il suo quarto Tour consecutivo, battendo il primato di Louison Bobet, con tre edizioni consecutive della Grande Boucle. La vita di Anquetil, capelli biondi e occhi azzurri sul viso scarno, tutto zigomi, avrebbe potuto essere un film. Principino secco e gaudente, protagonista di una vita sentimentale movimentata e amante di abitudini assai poco «da atleta», il ciclista francese era figlio di un coltivatore di fragole di Rouen. Amava le feste e lo champagne. E si dice che avesse ereditato la voglia di correre e di vincere da Fasto Coppi. Nel 1964 Anquetil divenne anche il secondo corridore capace di centrare in un solo anno l'accoppiata Giro d'Italia-Tour de France. L'impresa, fino ad allora, era riuscita a un altro mito del pedale, proprio Fausto Coppi, nel 1949 e nel 1952. Al secondo posto, al Giro, si classificò Italo Zilioli a 1 minuto e 22 secondi, al terzo Guido De Rosso, al quarto Vittorio Adorni e al quinto Gianni Motta.
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