di MARGHERITA PORTELLI
Tra l’Emilia e la steppa c’è di mezzo Nori. Grande appassionato di letteratura russa, il nostrano scrittore e traduttore Paolo Nori ha dato alle stampe «I russi sono matti – Corso sintetico di letteratura russa 1820-1991» (Utet editore, 224 pagine, 15 euro) ed è tornato a trattare uno dei suoi temi prediletti. Piccolo manuale approfondito e un po’ sghembo dei grandi autori russi e dei loro grandi capolavori, il libro è un salto a piè pari dentro al mondo e alle parole di Dostoevskij, Tolstoj, Čechov (solo per dirne alcuni) e dei loro intramontabili personaggi, di cui – dopo quarant’anni di studi, frequentazioni, libri letti, amati e tradotti – l’autore può dirsi (rigorosamente) «appassionato».
Per saperne di più abbiamo fatto qualche domanda a Nori, che ci ha risposto, naturalmente, con quel suo personalissimo stile che quando lo rileggi, non sai bene perché, ma ti vien voglia di scrivere così anche a te. Di scrivere, cioè, ad alta voce.
Se «I russi sono matti», secondo alcuni tutti i capolavori russi sono dei mattoni. Che cosa replica?
«Credo che leggere i russi non sia obbligatorio, ma credo anche che c’è chi rinuncia a addentrarsi in quelle che, a me, sembrano le meraviglie della letteratura russa, per paura. E mi sembra sia vero: la letteratura russa, fa paura, lo dico anche nel libro, e mi sembra sia la stessa paura che a Werner, il medico di ''Un eroe dei nostri tempi'', straordinario romanzo pubblicato nel 1841 da Michail Lermontov, fanno le belle donne. In quel romanzo Werner paragona le donne al bosco incantato di cui parla il Tasso nella sua Gerusalemme liberata. “Appena entri” dice Werner “ti saltano addosso da tutte le parti tanti di quegli orrori che Dio ti salvi: il dovere, l’orgoglio, il decoro, l’opinione comune, il ridicolo, il disprezzo”. Secondo Werner “non li si deve guardare, si deve andare avanti: pian piano i mostri scompaiono e si apre di fronte a te una quieta e luminosa pianura, nel mezzo della quale fiorisce il verde mirto. Ma che disgrazia, se ai primi passi il cuore trema e tu torni indietro”. Con la letteratura russa, secondo me, non è molto diverso. Se non ti spaventi, se non scappi, se vai avanti, dopo un po’ arrivi al centro del bosco che c’è una radura che si sta benissimo».
All’inizio del suo libro spiega che a chiunque studi russo si domanda sempre “perché?” E chi scrive libri che parlano di Russia e russi, a questa stessa domanda, cosa risponderebbe di preciso?
«Risponderei che ho scritto questo libro perché me l’hanno chiesto. E che son stato molto contento che me l’abbiano chiesto, e l’ho scritto molto volentieri e, per quanto possa essere strano, anche i lettori sembrano contenti, perché il libro è uscito da pochi giorni e è già in ristampa».
Dice che dei grandi scrittori russi non ci si può dire «esperti», ma «appassionati». Mi fa una personale classifica di autori/libri/personaggi della letteratura russa che le hanno fatto perdere la testa?
«Qualche anno fa ho letto un aforisma di “un grande poeta russo mai esistito, Koz’ma Prutkov: ‘Nessuno abbraccia l’inabbracciabile’ ”. E mi sono ricordato di una volta, che, con Gian Piero Piretto, a Milano, al Teatro Parenti, dovevamo parlare di Memorie di un pazzo, di Gogol’, e Piretto si era definito un appassionato, di Gogol’, e io avevo pensato che aveva ragione, e che dei grandi scrittori come Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj, Puškin, nessuno poteva dirsi un esperto, eravamo tutti degli appassionati, perché si può essere esperti di tante cose, di cinema, di meccanica, di elettronica, di statistica, di raccolta differenziata, di agricoltura, di calcio, di pallacanestro, di sport estremi, di pattinaggio in linea, di bricolage, di sudoku, di tutto, tranne forse che di letteratura, perché i grandi scrittori, i grandi libri, sono, forse, come diceva quel poeta russo mai esistito: inabbracciabili. E credo siano anche inclassificabili, Puškin, Gogol’, Dostoevskij, Tolstoj, Lermontov, Turgenev, Čechov, Bulgakov, Anna Achmatova, Velimir Chlebnikov, Iosif Brodskij, Daniil Charms e Sergej Dovlatov sono tutti, in un certo senso, al primo posto, per me».
Che cosa rimpiange, e che cosa no, della Russia (allora Unione Sovietica) che ha vissuto quando a 27 anni andò a vivere là?
«Mi piacevano molto i cartelli dove c’era scritto Ne rabotaet (Non funziona). C’era pieno, non funzionava niente».
A chi si rivolge questo «corso sintetico di letteratura russa»?
«A chi lo vuol leggere».
Potere, amore, vita quotidiana. Che cosa ci dice il libro di questi 3 grandi temi.
«Molto brevemente: dice che la relazione tra potere e scrittori è tale, in Russia, che gli scrittori, in certi periodi, hanno più potere dei potenti; che amare tutti i giorni in Russia si dice compatire; che gli oggetti che usiamo, il tavolo sul quale mangiamo, gli occhiali coi quali leggiamo, le penne con le quali scriviamo, sono talmente preziosi da essere quasi sacri».
Secondo lei come commenterebbe Tolstoj l’uscita di questo libro?
«Secondo me Tolstoj avrebbe altro a cui pensare».
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