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Il racconto della domenica

La guerra

La guerra

di Monica Borettini

05 Giugno 2022, 13:52

Era una notte piuttosto tiepida e il pianto dei neonati offuscava il suono stridente delle sirene. La guerra con martorianti colpi e raffiche sinistre era iniziata, tuttavia la gente non voleva credere a quell’assurdità. Parigi atterrita e senza voce era un teatro macabro in cui l’atmosfera ferale era rischiarata appena dal passaggio di un fiume color alluminio chiaro: la Senna che ancora non voleva arrendersi alla tragedia.

I signori Abecassis in compagnia della vicina Lèa Merchaud, giovane vedova, ascoltavano alla radio le notizie frammentarie e disturbate che una voce gracchiante tentava di lanciare nell’etere stanco. Ad un tratto un colpo di cannone più vicino fece tremare tutta la famiglia, quand’ecco un suono di campanello farli sobbalzare. «Radunate le vostre cose e fuggite, non c’è un attimo da perdere!» tuonò il signor Tarou agitato, rubizzo in volto, gli occhi pronti a schizzare dalle orbite. Aveva saputo che a breve un rastrellamento avrebbe fatto piazza pulita di tutti gli ebrei del quartiere. La signora Sabine terrea, non aveva perso la calma. Senza dire una parola come se si aspettasse quel momento, radunò qualche coperta e delle provviste, alzò il bimbo dalla culla col corpo pesante di sonno e abbracciata Lèa, si precipitò col marito e la figlia adolescente verso il macinino sbuffante che giaceva sotto un manto di polvere e cenere. Chissà, li avrebbe portati verso una tregua a quell’angoscia? Possedevano un vecchio casolare fuori Parigi… ah maledizione, perché non erano partiti prima? «Dirai una preghiera per noi Lèa?» disse Sabine, stringendo le mani diafane dell’amica senza ottenere conforto. La donna, impietrita, lo sguardo fisso, aveva sussurrato: «Le ho già consumate tutte le mie preghiere: non ne ho più, mi spiace Sabine».

Ciononostante ella serrò Sabine, l'amica di sempre, in un abbraccio disperato. Il viso gonfio della donna sembrava chiedere solo pace e pietà. Non poteva smettere di ricordare la fine di suo marito senza un brivido di raccapriccio. L'ufficiale delle SS non aveva avuto alcuna pietà nel torturarlo con un ferro da stiro incandescente nella loro stessa casa pochi mesi addietro. Pierrick non aveva parlato, salvando in quel modo la vita ad alcuni giovani compagni e così la morte lo aveva ghermito nel più atroce dei modi. Queste ferite ancora brucianti, sanguinavano nell'animo di sua moglie, la quale, privata di ogni minimo stimolo non sembrava più fatta né di ossa né di carne.

La figliola voleva tornare nella sua camera, recuperare qualche vestito, una catenella, ma i genitori glielo impedirono e la trascinarono di peso verso la vettura. «Lasciamo tutti i nostri averi a queste bestie assetate di distruzione e morte» disse Israel mentre guidando, le lacrime gli solcavano il viso. «No Israel, non sarà così» rispose la moglie. «Ho venduto tutto alla madre di Lèa: è francese la lasceranno in pace. C’è un pezzo di carta bollata sulla credenza. Vedrai - aggiunse - entrambe avranno cura della casa fino al nostro ritorno». Julie era attonita: non voleva lasciare il suo letto ornato di rose di porcellana ed i suoi diari. Ricordava la casa sgangherata di Gien e pensava con raccapriccio a quelle stanzone gelide e disadorne dove non avrebbe voluto mai abitare.

Non erano i soli: una lunga fila di autovetture tossicchianti e camion lasciavano la città per timore dei bombardamenti. Ognuno aveva un motivo per fuggire. Loro ne avevano uno in più: una stella gialla sul petto. Il buio frammisto a un tappeto di nebbia appiccicosa li inghiottì. Nessuno seppe più nulla dei quattro fuggiaschi. L'odore acre di quella notte sapeva di orrore e tragedia. Troppi posti di blocco anche in luoghi impensati avevano disintegrato i sogni di salvezza di molte persone.

Lèa aveva salvato dei quadri, tre vasi di pregio che le avevano consentito di campare, quando i suoi pochi denari erano finiti. Da una cosa non si era mai separata, il diario di Julie: quella fanciulla sedicenne, vi aveva disegnato abiti sontuosi, descritto racconti di feste da ballo luccicanti con donne piumate come colombe. Era il suo modo di contrastare l’orrore. Una bambina che aveva capito che l'immaginazione è un dono da combattente. Estraniandosi da tutto, con una semplice matita su fogli immacolati, Lèa l’aveva imitata. Disegnando cappellini e gioielli e sperando in un domani che le avrebbe aperto le porte ad una nuova realtà. Così era sopravvissuta alla follia. Accarezzando il suo cuore bambino con le illusioni, aveva reinventato la vita che non aveva avuto con Pierrick.

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