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Il racconto della domenica

Un vecchio volpone e due giovani lupi

Il racconto della domenica

di Vincenzo Pardini

15 Novembre 2022, 13:51

La vecchia volpe, maschio di grossa taglia del comprensorio di V., aveva cominciato a sentirsi a disagio: l’areale in cui era vissuto non gli apparteneva più come un tempo. Doveva condividerlo con una coppia di giovani lupi, i quali avevano falcidiato diversi suoi simili. Fino a pochi mesi prima, circolasse di notte o di giorno, poteva incrociare qualche cane da cui si defilava, disperdendolo. Ora invece bisognava si muovesse con circospezione; la coppia aveva già cercato di serrarlo da vicino.
Lui era riuscito a fuggire; avvantaggiato dalla sua maggiore velocità, s’era inoltrato nel folto dove i lupi si muovevano a fatica. In breve, scrutandoli da dietro cespugli e alberi, ne aveva imparato mosse e abitudini.
Erano astuti e pazienti. Riuscivano ad afferrare i piccoli di cinghiale nonostante la presenza della madre, la quale non poteva proteggere l’intera cucciolata come avrebbe voluto. I due lupi, con scaramucce e finti attacchi, le sbrancavano i figli, afferrando i fuoriusciti. Stretti tra i denti, in un baleno glieli avrebbero portati via. Si tenevano invece lontani dai verri, i quali, inarcate le possenti schiene, abbassato il muso, li caricavano costringendoli a desistere.
Forte nell’aria restava l’odore di piscio d’asino del cinghialone, che alla vecchia volpe rievocava le stalle coi pollai, dove tante volte aveva perpetrato furti e scempi. Poi, impotente ma pieno di rabbia, aveva veduto i lupi uccidere i suoi simili, piccoli e adulti.
I primi li catturavano perfino sotto gli occhi della madre; i secondi li pedinavano finché, acquattati nell’erba della primavera, strisciando controvento allungati al suolo per stornare il loro olezzo, non li coglievano di sorpresa mentre si cibavano d’insetti, di uova di uccelli nei nidi dei cespugli o di ciliegie.
D’un balzo erano addosso alla volpe; afferratala sulla schiena, la strattonavano, spezzandole la spina dorsale. Ancora semiviva, cominciavano a divorarla, lasciando sul terreno pelliccia e coda. Che lui, affranto, sarebbe andato ad annusare, delimitando il terreno attorno coi suoi spruzzi di urina.
Ormai, se non voleva essere individuato, doveva cambiare spesso il covo, oppure dormire su qualche albero, sempre che il tronco gli avesse consentito di salirvi.


Nemmeno i tassi, sebbene le loro tane avessero due uscite, riuscivano a scampare. Lui cercava di procacciarsi cibo nei giorni in cui sapeva che i lupi non avrebbero cacciato: un paio, dopo quello di una predazione. Sazi, andavano a sonnecchiare in tratti impervi, da dove qualche volta ululavano.
Adesso, più che nel passato, lui aveva preso a spingersi verso i centri abitati, avvicinandosi quel tanto che, col suo olezzo, non risvegliasse l’attenzione dei cani. Esseri che proprio non capiva né tantomeno sopportava. Sbraitando, lo avessero avvertito, gli sarebbero corsi dietro, costringendolo a ritirarsi nel folto, oppure a disperderli con qualche espediente, come correre in una direzione, per poi tornare indietro in un percorso parallelo. Perdute le sue tracce, avrebbero continuato nelle ricerche, mentre lui si era messo al sicuro.
Di recente, aveva scoperto che un luogo protetto, specie di giorno, poteva essere il folto di una boscaglia dove, arrivati i lupi, sostavano, disposti a cerchio, cinghiali, caprioli e cervi.
L’importante era saper entrare nelle loro grazie, conquistandone la fiducia. Lui ci era riuscito e, spesso, veniva accolto in mezzo a loro, che con grugniti, scalpitii e brevi lamenti, annusata l’aria, si trasmettevano messaggi. Mentre accucciato sonnecchiava, gli tornava alla mente la madre quando, svezzato, accadeva gli portasse un paio di micetti affinché imparasse a ucciderli. Un altro ricordo: quello di essersi nascosto nei pressi di un c

apanno di cacciatore. Se dopo lo sparo vedeva cadere la preda, avrebbe anticipato il cane, trafugandola.
Una notte di Luna piena, mentre percorreva un sentiero annusò i lupi. Dovevano averlo pedinato. In men che non si dica si dette alla fuga. Loro lo pressavano, tanto da sentirne l’affanno. Avesse rallentato sarebbe stata la fine. Puntò sulla vetta del colle, oltre la quale si apriva un baratro che, per un tratto, sapeva discendere. Giunse in vetta sfinito, l’alito dei lupi sul collo. Un guizzo e, come voleva, cadde su una sporgenza; presi dalla foga, i lupi lo incalzarono, piombando nel vuoto. Affannato, la lingua sui denti gialli e consumati, il vecchio volpone, seduto, pareva sorridere alla Luna.

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