FOTOGRAFIA
L'America lascia a sorpresa l'Afghanistan: il destino e le speranze di libertà delle donne improvvisamente cambiano. Così i loro volti vengono cancellati, coperti, spruzzati di spray prima che a farlo sia la censura di governo. La storia che cambia in un giorno viene fissata per sempre dall'obiettivo in una fotografia d'autore. L'ha scattata a Kabul, davanti a un salone di bellezza. Marco Gualazzini, reporter pluripremiato, racconta così il momento storico della ritirata americana lo scorso agosto. Con un'immagine che dice più di mille parole.
Nato a Parma nel 1976, inizia la sua carriera di fotografo nel 2004, alla «Gazzetta di Parma» da cui spicca presto il volo. Ha voglia di guardare in grande, preferisce cercare il mondo, che inizia a girare in lungo e in largo, con l'occhio non del turista, ma del fotogiornalista. I suoi lavori includono reportage sulla microfinanza in India, sulla libertà di espressione in Myanmar, sulla discriminazione delle minoranze in Pakistan. Negli ultimi anni ha documentato principalmente conflitti e crisi umanitarie nell'Africa subsahariana.
I suoi reportage hanno trovato ampio spazio su riviste nazionali ed internazionali, tra le quali, quali «The New York Times», «Geo», «Al-Jazeera», «Time magazine», «L’Espresso», «Vanity Fair».
Gualazzini ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Getty Images Grant for Editorial Photography, il Pdn e il World Press Photo solo per citarne alcuni. Oltre a diverse mostre collettive nazionali ed internazionali, ha tenuto delle personali a Forma Meravigli di Milano, a Palazzo Pigorini di Parma e sempre a Parma, nella Chiesa di San Marcellino nel ambito della campagna Feeling Good.
Nel 2020 il Centro della cultura italiana di Dakar ha inaugurato con una sua personale. Domani, per la celebrazione dei cento anni del Centro di cultura italiana di Praga, sarà inaugurata la sua personale «Resilient», promossa da Fondazione Eleutheria e curata da FrancescoAugusto e Ottaviano Maria Razetto. In mostra una cinquantina di fotografie, alcune di grandi dimensioni, sull’intensa attività che ha visto il fotografo operare in Africa, una sintesi ragionata di 14 anni di lavoro tra epidemie di Ebola e crisi umanitarie varie. Una sorta di «summa» del lavoro che ha visto anche la pubblicazione di un libro che porta lo stesso titolo della mostra
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