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Pasolini e Guareschi: Corsaro contro Giovannino

Contrapposti nel film «La rabbia» su temi di attualità: 60° anniversario

Pasolini e Guareschi: Corsaro contro Giovannino

di Egidio Bandini

23 Marzo 2023, 18:43

Erano i primi mesi del 1963, giusto sessant’anni fa, quando Gastone Ferranti, proprietario del cinegiornale «Mondo libero», decise di dar vita al «film del secolo» che però, già all’uscita nelle sale, si rivelò un fiasco colossale. L’idea era nuova e, sulla carta, vincente: dieci anni di cronaca, costume e spettacolo raccontati dal genio di Pierpaolo Pasolini, poeta, scrittore e cineasta.

Il lavoro del solo Pasolini, però, non convinse Ferranti che intravide la possibilità di rendere il racconto uno scontro fra intellettuali di opposte ideologie e, incassato il cortese «no» di Giancarlo Vigorelli e Indro Montanelli, si rivolse a Giovannino Guareschi che accettò la sfida. Il tema del film era basato su un quesito cui i due autori dovevano, ognuno a proprio modo, rispondere: «Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall’angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?» Il produttore, però, commise un errore fondamentale: quello di «separare in casa» i contendenti. Se l’idea dei due «registi» che non avevano alcuna intenzione di incontrarsi funzionava, infatti, dal punto di vista pubblicitario, la costruzione del film in due capitoli ben distinti tolse invece mordente al duello, facendone risultare in effetti due distinti lungometraggi: uno visto da sinistra (Pasolini) ed uno visto da destra (Guareschi). Fu questa la ragione dell’insuccesso del film? Probabilmente sì, anche se non fu l’unica. E dire che il battage pubblicitario montato da Ferranti era di prim’ordine: locandine provocatorie, messaggi di Guareschi a Pasolini e viceversa, addirittura un «promo» televisivo che anticipava lo scontro al calor bianco fra i due. Il risultato comunque, rivisto oggi, è in molte parti del film tutt’altro che spiacevole. Ognuno dei due «registi» si dimostra il genio che è: Pasolini nel tratteggiare un ritratto di Marilyn Monroe che è drammatico e tenero allo stesso tempo ma, soprattutto, nel prevedere con lucidità e con linguaggio realistico, ma poetico, l’immigrazione in Europa dai Paesi del Terzo Mondo: «Scoppia un nuovo problema nel mondo. Si chiama colore. Si chiama colore, la nuova estensione del mondo. Dobbiamo ammettere l’idea di migliaia di figli neri o marrone, infanti con l’occhio nero e la nuca ricciuta. Altre voci, altri sguardi, altre danze: tutto dovrà diventare familiare e ingrandire la terra! Dobbiamo accettare distese infinite di vite reali, che vogliono, con innocente ferocia, entrare nella nostra realtà». Guareschi strenuo difensore della vecchia Europa dalle minacce del blocco sovietico, ma anche da quelle del colonialismo americano e, soprattutto, efficacissimo nel mettere alla berlina i vizi dell’umanità di allora, che sono ancora gli stessi dopo cinquant’anni: «Non c’è tempo da perdere. Bisogna arrivare presto, fin che si è giovani! Bisogna far presto! Far presto! […] Bisogna vivere freneticamente. Scontentezza… Perché sotto questa frenesia si nasconde la scontentezza? Non sono questi forse gli anni della vita facile? […] Non ci hanno forse insegnato anche alla televisione, quanto sia facile diventare celebri e ricchi? Non basta, forse, saper camminare in mutande per avere un mestiere? […] È l’ora dei miracoli. Il miracolo automobilistico per cui camminare a piedi è diventato un lusso. […] Il miracolo edilizio che trasforma decrepite bellezze naturali in moderne e redditizie bruttezze artificiali. Il miracolo economico insomma che porta benessere un po’ dappertutto.» Tutto sommato un film non solo moderno, addirittura avveniristico per molti versi. Ma fu un fiasco solenne. Visto il film, Pasolini minacciò di ritirare la firma; i pochi giorni di programmazione registrarono pubblico scarsissimo, la stessa Warner Bros distributrice della pellicola decise di boicottarla e «La Rabbia» finì miseramente nel dimenticatoio sino a che, ormai quindici anni fa, la Cineteca Nazionale decise di restaurarla e proiettarla limitandosi, però, alla sola parte di Pasolini…

Forse il film raccontava una realtà, non presa dai precedenti dieci anni, ma addirittura troppo futuribile e non fu capito. Forse gli attacchi all’America, sia quelli scontati, da parte di Pasolini che quelli, nient’affatto scontati, di Guareschi convinsero il distributore a ritirare la pellicola. Forse davvero il pubblico non mostrò l’interesse che Ferranti sperava di aver suscitato.

Sta di fatto che, dopo cinquant’anni, «La Rabbia» è ancora un film pressoché sconosciuto e certamente, per alcuni aspetti, datato. Leggere però gli appunti inediti che Giovannino metteva nero su bianco per il film, è divertente e, allo stesso tempo inquietante, quando immagina il dialogo fra due neo-genitori di un figlio maschio: «Sesso? Lo deciderà poi lui. Bisognerebbe dargli un nome non impegnativo, che possa servirgli o come uomo, o come donna. Se non riesce a prendere moglie, prenda marito.» O ciò che scrive in una parte del commento non utilizzata: «Tutto serve a chi vuol farsi della pubblicità. Non ci sono limiti. Anche la valutazione del sacro e del profano è del tutto cambiata. Oggi si ritiene più conveniente scherzare coi Santi piuttosto che coi fanti perché, mentre i Santi stanno in cielo, i fanti sono in terra. Così anche il matrimonio va sempre più perdendo il carattere e la funzione originali. Per esempio, la legge ha tolto dai documenti l’indicazione della paternità allo scopo di non umiliare i cittadini che hanno come padre il marito della madre. Coll’avvento dei termoconvettori e dell’aria condizionata, il focolare domestico ha perso ogni importanza».

E anche gli appunti inediti della “lettera a Pasolini” scritta prima del film, rispecchiano il carattere e la determinazione di un Giovannino pronto alla battaglia: «Egregio Pasolini, deriviamo entrambi da De Amicis anche se, nella sua prosa, si sente meno il fiatone di Edmondo per via delle parole che lei raccatta nei rigagnoli di Trastevere. Nessuno, però, potrebbe mettere in dubbio che, pure specchiandoci nello stesso fiume, lei ed io ci troviamo su opposte rive. […] Io, italiano solidale con gli italiani, sono uno sciovinista. Io, umorista, sono un uomo fuori dall’ordine: un sovversivo schedato. Lei, invece, è nell’ordine perché è aperto al marxismo e a tutti gli altri “ismi” che vanno oggi di moda. Partito da posizioni indubbiamente anticonformiste, lei, oggi, è diventato un autorevole esponente del più rigoroso conformismo. Mentre io sono rimasto lo stesso di 26 anni fa, dei tempi del “Bertoldo”: un ometto qualunque. Il quale ometto, se osa battersi contro il conformismo, può solo rompersi la testa. Ed io lo so bene, ma ci riprovo sempre. Distinti saluti da Guareschi».

Egidio Bandini

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