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CULTURA

Puccini e Nomellini: musica e pittura a Torre del Lago

Puccini e Nomellini:  musica e pittura a Torre del Lago

di Giacomo Fossa

11 Luglio 2023, 11:16

Giacomo Puccini, accompagnato dalla moglie Elvira e dal figlio Antonio, era arrivato per la prima volta a Torre del Lago nel giugno del 1891, quando attendeva alla composizione della Manon Lescaut.

La fascinazione per il quieto paesaggio della Versilia si manifestò da subito nell’animo del Maestro che nel volgere di breve tempo elesse il Lago di Massaciuccoli quale rifugio per i mesi estivi, acquistando dal guardiano del Marchese Ginori la casa torre che dà il nome alla località. Dopo il 1899 la torre dell’amico Venanzio divenne così la villa liberty che ancor oggi vediamo, ossia la residenza principale del Maestro tra le cui stanze avrebbero preso vita quasi tutte le sue partiture, dalla Tosca in avanti.


Di Giacomo Puccini fu proverbiale l’attenzione maniacale per il dettaglio, non solo nella composizione, ma in primo luogo nella versificazione dei libretti, su cui interveniva personalmente, come dimostrano le lettere ai fidatissimi Illica e Giacosa che, tra gli anni Novanta dell’Ottocento e il 1904, gli avrebbero fornito gli straordinari testi poetici della Bohème, della Tosca e della Butterfly. Mano libera lasciò invece agli amici pittori ai quali affidò, nel 1899, le decorazioni della sala dove egli componeva. La scelta era caduta su Pagni, De Servi e Nomellini. Ferruccio Pagni, che Giacomo chiamava, alla toscana, «il Pagni», era l’amico carissimo del Maestro fin dai tempi del circolo dei bohémiens da loro creato sulle rive del lago. Di Pagni ci restano sapidi dipinti della campagna toscana che nei mesi estivi egli eseguiva en plen air e che Puccini portò sovente con sé a Milano. Per una parte del proprio cammino aveva pure tentato di abbracciare la tecnica della divisione, con fiero disappunto di Puccini che agli esperimenti divisionisti della «pittura a puntini di…mosca, uso Morbelli» preferiva il gusto per la libera e distesa pennellata che sentiva più congeniale al temperamento dell’amico.

L’epistolario pucciniano di questo periodo è ricco di brevi lettere che egli, sfruttando un sistema postale efficientissimo, spediva prontamente agli amici durante i lavori preparatori sulla scelta dei temi pittorici. Al contrario di ciò che era solito fare con i librettisti, dai quali esigeva la massima perizia e lo sguardo attento alle esigenze della musica, con gli amici pittori Puccini sapeva fermarsi un passo indietro per lasciare libero sfogo alla loro invenzione e al loro giudizio sull’equilibrio tra pieni e vuoti, tra decorazione e semplice colore di fondo.

«Il soffitto lo farò fare come dici tu cioè del colore naturale»: così scriveva a De Servi nell’autunno del 1899. Degli affreschi, ultimati nel febbraio del 1900, non rimane oggi più nulla: l’azione dell’umidità danneggiò in poco tempo le decorazioni, se è vero che queste, restaurate da Lorenzo Viani nel 1906, finirono per essere poi definitivamente ricoperte da un tessuto già nel 1908, cambiando così radicalmente l’aspetto dello studio. Sui temi scelti fa però luce l’evocativa testimonianza dell’epoca di Carlo Paladini che invita a non sottovalutare il rapporto di contiguità assoluta tra le evocazioni pittoriche di Pagni e Nomellini e le suggestioni musicali che Puccini traeva, al pianoforte, quasi ispirato dalle pareti dipinte del suo studio: «le allegorie dell’alba, del meriggio, del tramonto e della notte sono le deliziose compagne di Giacomo mentre compone. E Puccini solo alle agili dee botticelliane suona la sua musica».

Torna alla mente allora il superbo polittico di Nomellini della Sinfonia della Luna a Cà Pesaro, dipinto proprio nel 1899. Il tono plumbeo e notturno, illuminato maestosamente dall’astro che domina lo scenario dal pannello in alto, infonde sulle onde del mare, realizzate nella maniera che diverrà poi la firma distintiva di Nomellini, il suono arcano della musica. Nei colori della Sinfonia di Nomellini sembra così riecheggiare il frastuono inquieto dell’apertura del Terzo Atto della Madama Butterfly, scritta da lì a qualche anno, l’alba su Nagasaki dove la protagonista attende fremente l’arrivo di Pinkerton. Il superbo intermezzo di Puccini è a tutti gli effetti un Notturno, teso e modernissimo, che nella versione originale era pensato per essere eseguito a scena aperta, a voler richiamare il moto eternamente inquieto del mare, che è specchio e metafora dell’angoscia della vita. È certo che in questo ondeggiante tema lento Puccini immaginasse splendere ancora la luna sul porto, se in partitura l’alba vien fatta sorgere dal compositore solo sulle note dell’Allegro successivo, subito dopo le impressionistiche grida dei marinai, sui cui pentagrammi il Maestro scrisse: «l’alba sorge rosea».

Il rintuonare del mare e il suo scomposto infrangersi sulle rive, che è stato per diverso tempo il pezzo pittorico di bravura di Nomellini, sembra quasi prendere voce proprio in questa espressiva melodia degli archi dell’Intermezzo, un tema che Puccini punteggia, ogniqualvolta la frase si distende, con profondi richiami dei contrabbassi pizzicati, all’unisono con il rintocco dei timpani sopra ai quali fa luce il suono del piatto percosso con le bacchette, un impasto timbrico magistrale che si fa mimesi della voce del mare.
Resta allora di grande suggestione ricercare altre correspondances che unirono la musica di Puccini all’arte del giovane amico Nomellini che, formatosi insieme a Pagni nella classe di Fattori, dopo l’esordio tra i macchiaioli condusse la sua arte verso un gusto personale, vicino a tematiche sociali, a un trepido gusto per la luce, al divisionismo e al simbolismo. Indimenticabile è il quadro Baci di sole dove la luce piove letteralmente tra le fronde che coprono d’ombra la madre e il suo bambino. La sua pittura era amata dall’amico Pascoli che all’indomani del fiasco di Madama Butterfly inviò a Puccini una poesia: la farfalla, gli assicurava, sarebbe tornata presto a volare. Non si sbagliava.

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