ANIMALI
Tutti sanno che ci sono animali che vengono, o che venivano, utilizzati per lavori specifici. Per esempio i cani addestrati per la ricerca delle mine, o anche i buoi che tirano l’aratro, oppure ancora gli asini per il trasporto di materiali. E poi c’è la cagnetta Laika, la randagina accalappiata a Mosca e messa a bordo della capsula spaziale sovietica Sputnik 2, diventata famosa – suo malgrado – per essere stata il primo essere vivente ad orbitare intorno alla terra. Ma ci sono anche tanti animali, delle specie più disparate, che fin dalla notte dei tempi sono stati utilizzati – e lo sono ancora - durante battaglie, guerre ed operazioni militari. A raccogliere in un libro le loro vicende è il volume «Bestie da guerra» scritto a quattro mani da Giuliano e Maria Maddalena Ferrari e pubblicato da Temperatura Edizioni. Padre e figlia; generale di Corpo d’Armata degli Alpini e comandante della leggendaria Brigata Julia lui, psicologa lei; Giuliano e Maria Maddalena hanno analizzato con cura dati e resoconti del difficile rapporto esistito - ed esistente - tra l’uomo e l’animale.
«Come accade ai soldati, gli animali vengono arruolati senza chiedere il loro parere e usati per fare quello che l’uomo ha troppa paura, o ha troppo danno, per farle da solo. Sono stati mandati nello spazio, coperti di grasso e incendiati per scompaginare gli elefanti, addestrati per portare avanti attacchi invisibili - anticipa Giuliano -. Gli animali nella guerra di ieri facevano una parte della funzione degli uomini; oggi fanno lavori che noi non saremo mai in grado di fare. Ieri come oggi, però, c’è la grande ottusità di fondo dell’uomo nell’usare ciò che pensa servirgli in quel momento invece di avere una visione più ampia». Dall’analisi traspare grande compassione per questi «soldati per caso», spesso mandati allo sbaraglio: un segno di quel legame con gli animali che dopo decenni porta Giuliano a tenere sulla scrivania lo zoccolo di Ciana, la mula incontrata quando, ancora giovane tenente, ha preso servizio nella caserma di Agordo. «Ciana era ingabbiata perché era una testa calda. Mi sono avvicinato e si è alzata sulle zampe posteriori. Con il tempo, e qualche mela extra, ho conquistato la sua fiducia. Il mulo per l’alpino non è “un mezzo” ma è un amico: è quello alla cui coda ci si attacca quando ha il fiatone ed è quello che porta il peso durante la marcia. E, come si fa con gli amici, bisogna rispettarlo. Anche perché un mulo sa davvero come fare a ribellarsi».
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