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Famiglia e figli nell'era digitale

Il filosofo Galimberti: «L'homo sapiens? Non esiste più»

Galimberti:  «L'homo sapiens? Non esiste più»

di Claudia Olimpia Rossi

31 Maggio 2024, 16:00

«Accompagnavo il mio nipotino a scuola, quando una signora, riconoscendomi, mi ha chiesto: “professore, il mio bambino fa la quarta elementare e vuole uno smartphone”. Io le ho risposto: glielo dia. Altrimenti lo priva della socializzazione. Vedete, la tecnica è già diventata sociologia».
Il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti a G-talk ha intrecciato «Riflessioni: famiglia e figli nell’era digitale», nella giornata dedicata a web e minori, intervistato dalla giornalista Mara Pedrabissi della «Gazzetta di Parma».
Annunciando la morte dell’homo sapiens, sostituito dall’homo videns. «Il problema per i ragazzi - le parole dello studioso - è molto serio. Non ce ne rendiamo conto. Ma, soprattutto, non possiamo farci più niente. La tecnica è un mondo. I ragazzi sono passati da un’intelligenza sequenziale a una simultanea. La prima, di chi scrive e legge, comporta raccogliere un senso, un’immagine, dai segni grafici. In quella circostanza il nostro cervello fa un lavoro pazzesco. Quando anteponi l’immagine, dicono i neuroscienziati, il cervello perde neuroni. Dall’homo sapiens stiamo diventando homo videns, con un diverso modo di pensare e di sentire».
Secondo Galimberti, questa forma di progresso ci avvia alla catastrofe. «Il computer - prosegue - lavora su un codice binario: sì, no. Come giustamente dice Nietzche, quando l’umanità diventa gregge vuole l’animale capo. Dalle prove Invalsi dello scorso anno, è emerso che il 51% degli studenti delle medie non capisce cosa legge. Questo è un servizio favorevolissimo al potere. Basta darti con uno slogan la soluzione ai problemi della vita e abbocchi subito, perché hai solo la capacità di dire sì, no, non so. Ma una società complessa non la governi così. Il populismo vive sull’ignoranza della gente».
Orientato dalle domande di Mara Pedrabissi, il focus dell’incontro è stato puntato sull’educazione delle giovani generazioni. «La scuola italiana - l’amara considerazione dell’autore, tra gli altri, de “Il libro delle emozioni”, “Le grandi domande”, “L’ospite inquietante”, “L’etica del viandante” - istruisce ma non educa. Istruzione è trasmettere contenuti mentali. L’educazione è seguire gli studenti nella loro evoluzione psicologica, facendoli passare da un mondo pulsionale al livello emozionale e da lì a quello sentimentale. Perché, come dice Platone, la mente non si apre se prima non hai aperto il cuore. I professori che non si occupano del cuore non educano. La scuola non dovrebbe sospendere i cosiddetti bulli, ma farli stare a scuola il doppio per aiutarli a passare dalla pulsione all’emozione. Emozione significa avere la risonanza emotiva dei propri comportamenti. Kant diceva che ognuno sente da sé la differenza tra bene e male. Oggi non è più vero. Anche quando si tratta della differenza tra corteggiare una ragazza o stuprarla: non sto esagerando. I sentimenti s’imparano, non li abbiamo per natura. I greci ne avevano messo in scena nell’Olimpo la rappresentazione. Noi abbiamo quel repertorio grandioso di sentimenti che si chiama letteratura. Allora bisogna riempire le scuole non di computer ma di letteratura».
Sull’intelligenza artificiale Galimberti va oltre, convinto che moltiplichi ed estenda i danni causati dall’età della tecnica, che ci riduce a strumenti chiamati a compiere azioni prescritte, prescindendo dalla finalità, in nome di produttività, funzionalità e velocizzazione del tempo.
«Noi non siamo all’altezza - il monito di Umberto Galimberti - della velocità inaugurata dalla tecnica e dell’informatica. Non è un caso che nel nostro Paese, dove c’è il sole, si mangia bene, si parla molto, il 55% degli italiani usi psicofarmaci e, se non bastano, cocaina a go go. Allora stiamo male. La società dell’efficienza, della performance spinta, ci porta a livelli spaventosi di psicopatologie indotte dall’informatica».

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