Mostra
Da sinistra: Punt e Mes Carpano, 1960: stampa litografica su carta montata su tela. Caballero & Carmencita, 1965: gesso e tecnica mista.
La Galleria internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia presenta, in contemporanea alla Biennale Arte, una grande mostra dedicata ad Armando Testa (1917-1992), visibile fino al 15 settembre. Una proposta ricca e completa, a cura di Gemma De Angelis Testa, Tim Marlow, direttore del design Museum di Londra, e Elisabetta Barisoni, che offre al visitatore non solo gli aspetti e le immagini più noti del creativo piemontese bensì intende rivolgere uno sguardo alla sua lezione e al suo lascito artistico.
Già lo scorso anno la Galleria aveva esposto le diciassette opere donate dalla moglie del pubblicitario, Gemma, grande collezionista e fondatrice dell’associazione Acacia per promuovere l’arte contemporanea italiana, donazione che le è valsa il Leone d’Oro.
Ora un’attenzione particolare va a quelle qualità e felici intuizioni che lo videro pittore, scultore, disegnatore e inventore dalle infinite suggestioni, a partire dagli esordi torinesi presso la Scuola Tipografica Vigliardi Paravia e con l’insegnamento di Ezio D’Errico. Emerge la capacità di penetrare l’evolversi della forma e del pensiero ma anche la complessità di questo protagonista della cultura visiva contemporanea, creatore di celebri icone entrate da anni nel nostro immaginario collettivo. «Visualizzatore globale», lo aveva definito lo studioso di estetica Gillo Dorfless, cogliendo nella sintesi dei suoi capolavori, figli di una pluralità di linguaggi espressivi, una modernità fonte di ispirazione per gli artisti contemporanei. Anche nelle prove di impegno sociale e culturale, meno note dell’attività di pubblicitario, Armando Testa dimostra la sua inesausta e geniale ricerca nei territori della storia dell’arte; qualunque sia il tema su cui si concentra cerca sempre di porsi con sincerità e coerenza dalla parte di chi guarda.
Al primo concorso, vinto da Armando Testa a vent’anni per l’Industria Colori Inchiostri, nel 1937, si affianca la ricerca portata avanti nell’immediato dopoguerra per importanti aziende come Martini & Rossi, Carpano, Borsalino e Pirelli, da cui scaturiranno alcune delle sue più geniali e iconiche invenzioni. E ancora, le pubblicità, le campagne promozionali e i loghi per Lavazza, Sasso, Carpano, Simmenthal e Lines, tra gli altri, che hanno accompagnato diverse generazioni di spettatori, fruitori, artisti e creativi, si arricchiranno delle suggestioni di Testa per occasioni pubbliche nazionali, come le Olimpiadi di Roma del 1960, di cui realizzò il manifesto ufficiale vincendo un concorso segnato da articolate vicende. Gli anni Cinquanta e Sessanta videro la nascita delle immagini e delle animazioni per la televisione, con personaggi, suoni e gesti che sono rimasti nella storia della pubblicità e della cultura internazionale, forse nessuna immagine è rimasta negli occhi e nella mente di più generazioni: dal digestivo Antonetto (1960) alla celebre sfera rossa sospesa sopra la mezza sfera del Punt e Mes, che in dialetto piemontese significa «un punto e mezzo» (1960); da Caballero e Carmencita per il caffè Paulista di Lavazza (1965) agli immaginifici abitanti del pianeta Papalla per i televisori Philco (1966); da Pippo, l’ippopotamo azzurro dei pannolini Lines (1966-1967), alle pubblicità per l’olio Sasso (1968) e per la birra Peroni (1968). Le ricerche intorno al tema del cibo, visto nelle sue declinazioni eclettiche, ironiche e giocose, si affiancano in mostra ad attività legate ai temi sociali e alla diffusione culturale nelle quali Armando Testa non mancò di impegnarsi, come le campagne per Amnesty International, per il referendum sul divorzio, per la povertà e la fame nel mondo, a citarne solo alcune. Parallela e contigua a queste produzioni corre la ricerca inesauribile su alcune questioni sempre aperte: non solo la figura umana, le geometrie, i pieni e i vuoti, il positivo e il negativo, ma anche soggetti specifici come le mani, primo organo di senso e di percezione del mondo, alfabeto con il quale interpretiamo il soggetto e lo spazio che ci circonda. Emerge nel complesso quella sua decisa e inconfondibile cifra stilistica, libera e dissacrante, capace di sedurre con la semplicità, lui, il creativo che affermava: «Ho costruito una vita sulla frase di Mies van der Rohe: "Nel meno c’è il piu"̀».
Non bisogna poi dimenticare quell’affondo nell’arte del Novecento, testimonianza di un primo, assoluto amore che negli anni lo ha portato a visitare mostre senza sosta trasformando ciò che vede a modo suo e, in definitiva, l’attenzione per le avanguardie del Novecento in comunicazione di massa perché accanto al genio del marketing c’è sempre l’artista, che non può fare a meno di creare e sperimentare. Tra i suoi temi preferiti spiccano simboli e feticci, come le croci, per la loro forma definita e potente, o le dita, archetipo della capacità umana di dar vita ad ogni idea.
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