Ateneo
Il paesaggio quale tematica rappresentativa di tante riflessioni artistiche e progettuali sviluppatesi in Italia dal secondo dopoguerra diventa il simbolo dell’archivio stesso, dello Csac quale paesaggio culturale caratterizzato da diversificate e stratificate azioni ed attività, un luogo vivo in cui i materiali depositati non solo sono conservati, ma possono generare narrazioni diverse scrive Cristina Casero, direttrice dello Csac nel catalogo della mostra Archivio paesaggio. L’Italia del secondo Novecento nelle collezioni Csac che sarà allestita dal 14 settembre al 22 dicembre presso il Centro studi e archivio della comunicazione dell’Università di Parma. Il paesaggio è, a partire dagli anni ’30, il tema privilegiato dalla creatività di tanti artisti le cui opere mostrano le grandi trasformazioni determinate dai nuovi progetti abitativi riguardanti le periferie.
Dà senso al paesaggio, rendendolo reale, la presenza dell’uomo e il filo conduttore che accompagna la mostra dello CSAC è vederne il risvolto sociale dato dal fatidico incontro e riportarne le riflessioni. La figura umana non solo conferisce significato al paesaggio e ai suoi confini, contorni e orizzonte, ma completa il quadro perché senza di essa, il esso sprofonderebbe in una serie di numeri e oggetti senza significato di per sé.
Per molti artisti, a partire dagli anni Trenta, il paesaggio è solo metropolitano e in particolare quello delle periferie che già trasmettono cupe riflessioni, perché la città di Mario Sironi diviene riflesso della condizione dell’uomo moderno: infatti l’introduzione della figura umana costituisce crea un chiaro senso di desolazione. Il corpus dei disegni dell’artista, conservato presso il Centro, benché riconducibile ad una dimensione non compiuta racconta il rapporto tra uno dei pittori protagonisti del ‘900 con il genere paesaggio. Rimanendo tra gli artisti, la mostra rivela una serie di schizzi di Marcello Nizzoli prima che diventasse una figura di spicco nell’ambito del design. E al di là dell’oggettivo interesse per scoprire l’esistenza di tali lavori, per altro di rara bellezza, nell’osservarli ne cogliamo l’intrinseco valore: sono vedute cittadine, marittime e montane – scrive nel catalogo Giulia Ferrari- che Nizzoli si attarda a descrivere a tal punto da permettere un perfetto riconoscimento topografico; Venezia soprattutto ma anche la Liguria delle Cinque Terre, il Piemonte della Valsesia e l’Emilia più agreste. Altro filone di riflessione, riguarda il doloroso capitolo dei bombardamenti, l’esperienza della Seconda guerra mondiale con le macerie che ne documentano le atrocità.
Ma a monte delle riflessioni artistiche che nascono dall’impatto sociale determinato dall’ esistenza delle periferie, la mostra mette in evidenza alcuni progetti attuati alla luce di accesi dibattiti politici in base ai quali si sono costituite e sull’idea circa le forme da conferire loro; d’altra parte, sono trasformazioni epocali in conseguenza di massicci movimenti di masse da nord a sud e, dalle campagne, alle città delle fabbriche. Tanti i proclami che si fanno in proposito: già ne quarant’anni centrali del XX secolo durante che segnano la ricostruzione e, per quanto riguarda delle capitali dell’industria italiana come Torino e Milano, il lor riassetto urbano e metropolitano. “L’architettura rappresentativa della nostra epoca sarà quella delle case operaie” L’architettura per la prima volta edificherà “la casa per tutti”, perché mezzo di elevazione sociale e morale (Piero Bottoni). L’intenzione politica era si sottrarre l’abitazione operaia alla speculazione individualistica per divenire un servizio collettivo. A questo proposito, per il “progetto delle periferie” si attua Piano INA-Casa, il più importante programma d’intervento pubblico nel settore dell’edilizia residenziale del dopoguerra. Davvero prezioso e di profondo interesse, nel catalogo della mostra il saggio di Lucia Miodini che riferisce sinteticamente ma in maniera esaustiva vicende, opinioni, tendenze.
In fase di attuazione del Piano INA-Casa, bisognava avere i progetti -tipo di case per lavoratori e, per questo, sono stati indetti dei concorsi; tra i partecipanti classificati negli archivi CSAC si trovano i progetti di Ignazio Gardella, Roberto Menghi. E ancora di Giò Ponti, Luigi Figini e Gino Pollini ideatori del progetto riguardante il quartiere Harar - Dessié maturato nell'ambito della legge Fanfani che portò alla costituzione dell'INA-Casa, nei pressi dello stadio di San Siro a Milano. Organizzato in due diverse tipologie edilizie, studiate per accogliere circa 5500 abitanti in 942 alloggi: da una parte le "insulae", case unifamiliari a bassa densità, e dall’altra i "grattacieli orizzontali", blocchi edilizi in linea e multipiano.
L’importanza delle relazioni tra il progetto e l’ambiente diventa basilare per ripensare la città in termini di habitat nel desiderio che l’architettura possa agevolare il benessere dei residenti. In ogni caso il disegno urbanistico doveva attenersi ad alcuni principi base mentre tema ricorrente nel dibattito critico degli anni ’50, è la continuità o la crisi del Movimento Moderno. Tra le voci del dibattito architettonico Franco Albini sostiene che la tradizione è nei modi di costruire nelle consuetudini e nei modi di abitare. Non è possibile separare “la tradizione del costume (modi di vita) dalla tradizione architettonica”. In tal senso per Ignazio Gardella che con Albini progetta il Quartiere IACP Mangiagalli a Milano tradizione significa recupero di elementi della tradizione popolare e forme della storia. Per comprendere la portata del progetto periferie di quegli anni, Lucia Miodini riporta nel catalogo le efficaci parole di Renzo Piano “Credo che il grande progetto del nostro paese sia quello delle periferie: la città del futuro, la città che sarà, quella che lasceremo in eredità ai nostri figli.”
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