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Cominciamo bene: l'importanza delle prime righe

1. Prima di cominciare

Cominciamo bene: l'importanza delle prime righe

Cominciamo bene: l'importanza delle prime righe

di Paolo Cioni

07 Gennaio 2025, 11:46

A volte c’è qualcosa nelle prime righe di un romanzo che può cambiare la tua giornata, qualcosa che può rimanerti in testa per anni, lasciarti a bocca aperta, obbligarti a leggere quello che segue. Insomma nelle prime righe c’è un mistero che si può provare a indagare. Questo è il primo di dodici appuntamenti mensili nell'inserto "La Domenica" della Gazzetta dedicati alle prime righe dei libri: l’incipit di una rubrica sugli incipit

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Johann Wolfgang von Goethe da qualche parte scrive: «Qualunque cosa tu possa fare o sognare di fare, incominciala. L'audacia ha in sé genio, potere e magia. Inizia adesso». Ecco: nel momento in cui decido di indagare sui modi misteriosi in cui comincia-
no i romanzi e di scrivere qualcosa a proposito proprio dell’incipit, di fatto mi accorgo che, anche se questo non è un romanzo, mi serve un incipit.
Perché è proprio dell’inizio che proveremo a occuparci. Dodici puntate, una per ciascuno dei prossimi dodici mesi, dedicate a un’indagine sul passato, il presente e il futuro dell’incipit.
E quindi cominciamo così, citando Goethe e provando a cambiare anche il vostro modo di vedere gli inizi, nuovi meravigliosi inizi, che siano di un romanzo o di un anno migliore, di una barzelletta o di una nuova vita che prenda il posto di quella vecchia, perché quella vecchia magari vi annoia ed è ora di cambiare qualcosa. Cominciamo bene insomma.
Per anni la frase di Goethe mi è rimasta in testa e per me rimane un punto di riferimento. Sono il potere e la magia che ogni audace inizio porta con sé ad affascinarmi. E poi quella meravigliosa chiusura: inizia adesso. Non sto scherzando, credo ci stia dicendo Goethe. Qui si fa sul serio. Ci sta dicendo che è proprio la nostra innata tendenza a rimandare a fregarci.
Anni fa fondai e diressi poi per qualche anno una rivista piena di sogni e di speranza che si chiamava Experience, e questa frase era riportata nel risguardo di copertina. Mi era servita a vincere l’inerzia e a mettermi in gioco. E questo credo sia il punto: le righe iniziali di un romanzo sono il primo tuffo nel mare, il primo bacio in una storia d’amore, e quindi un mondo intero che può essere indagato. E l’idea è proprio questa, esplorare insieme le poche parole messe lì all’inizio di tutto, a volte in grado di portarci in un lampo in un altro universo, di colpirci al cuore oppure allo stomaco: una manciata di parole che non lasciano scampo, costringendoci a leggere quanto segue, che siano poche pagine oppure mille.
E poi certo, c’è il gioco del riflesso che queste poche o tante pagine proiettano, perché è sicuramente vero che a rendere celebri alcuni incipit sia stato il romanzo intero, e che quindi sia la bellezza e il successo di quanto segue ad aver poi reso indimenticabile l’inizio. Pensiamo all’incipit de La Recherche di Proust per esempio:
«Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera».
Dalla parte di Swann, Marcel Proust

Sono poche parole che per chi ama la letteratura aprono una porta, ma se il romanzo non fosse poi stato un granché (o i romanzi)? Forse nessuno si sarebbe scomposto. Ma ormai, dopo un secolo e più di leggenda, nessuno può dirlo. Oppure pensate a quanto ancora può affascinare un romanzo che è stato pubblicato nel 1877 e che comincia così:

«Tutte le famiglie felici si assomigliano, mentre ogni famiglia infelice è infelice a modo suo».
Anna Karenina - Lev Tolstoj
Ma questo è qualcosa di più di un incipit, è un teorema che poi viene dimostrato nelle molte pagine seguenti, ed è giusto che stia lì perché, come sostiene Paolo Nori, messo altrove nel corpo del romanzo, oppure alla fine, avrebbe perso tutta la sua forza. È interessante notare che questo incipit sia stato ripreso dal naturalista statunitense Jared Diamond in un saggio del 1997 intitolato Armi, acciaio e malattie, nel quale definisce addirittura «il principio di Anna Karenina»: un test basato sull’idea che esista un solo modo per avere successo (la felicità è un esempio, il successo di un’impresa un altro), e questo vede la coincidenza di una serie definita di fattori, nessuno escluso - mentre invece esistano vari modi per fallire, perché è causa di insuccesso non rispettare uno qualsiasi di questi fattori. Tradotto significa che, per essere felice una famiglia ha bisogno di amore, salute, tranquillità economica, mentre per essere infelice basta che manchi una sola di queste cose. Tutto questo nelle prime righe di un romanzo.
E da qui un’altra tesi che sta dietro l’incipit di Tolstoj, e cioè che il romanzo stia nel fallimento, nel dolore, nell’infelicità, nella tragedia, quindi che se le cose vi vanno particolarmente bene, è probabile che a nessuno interessi davvero saperlo. O forse sì. Chi può dirlo?
«Chiamatemi Ishmael».
Moby Dick, Herman Melville

Questo è di sicuro un buon modo di prendere l'attenzione del lettore. Per farselo amico oserei dire. Oppure, sempre in una chiave colloquiale ma quasi cento anni più tardi:
«Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com’è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne. Primo, quella roba mi secca, e secondo, ai miei genitori gli verrebbero un paio di infarti per uno se dicessi qualcosa di troppo personale sul loro conto».
Il giovane Holden, J.D. Salinger

Due modi per prendere per mano il lettore, per dirgli sono qui, seduto con te, e a modo mio voglio raccontarti una storia. Questo passaggio al tono colloquiale credo sia un passaggio chiave che ci porta a noi. Oggi i romanzi, molti dei romanzi, tentano questo approccio.
In generale, consultando i manuali, l’incipit dovrebbe presentare la voce narrante, anticipare il tono del romanzo, incuriosire, creare un’atmosfera, intrattenere (spaventare, divertire, stupire, far pensare). Non esiste però una ricetta. Esistono in realtà libri e corsi che provano a darne una (soprattutto negli Stati Uniti, dove esiste un manuale per qualsiasi cosa). In queste pagine quindi proviamo e proveremo a indagare, anche se è evidente che arrivare a una conclusione sarà impossibile. Per questo Goethe parlava di magia?

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