racconto per immagini
Siamo giunti all’ultima parte di «Oltre a ciò, vedi», quarta «puntata» del viaggio nell'opera fotografica di Giovanni Greci. E' il tempo all’attesa, di come l’autore concluda il suo viaggio nei luoghi abitati.
Scorrendo le pagine, ci troviamo improvvisamente proiettati verso l’alto, come fossimo uccelli, a scrutare laggiù i passanti (noi stessi) da un nuovo punto di vista, forse un tentativo di prendere le distanze dalle cose del mondo dentro cui siamo invisibili esseri di passaggio. Prima del congedo l'obiettivo si innalza e allontana dagli esseri viventi, lo spazio prende il sopravvento.
A seguire, c'è un nuovo movimento che capovolge il tutto: l’ascesa verso il cielo, finalmente apparso. Quel cielo sino a questo momento messo da parte fa ora irruzione aprendo il respiro a nuove emozioni e al tema del ritorno. L'autore sembra chiedersi «se il senso del viaggio non sia in fondo più nel tornare, dopo aver preso le distanze per vedere, o semplicemente per poter vedere» (W. Wenders). E vedere, per Greci, vuole anche dire dare il via al montaggio di questo materiale, operazione non dissimile alla fine dell’ultimo ciak.
Ma proprio quando si pensa che con l’ascesa si chiuda il cerchio, ecco la macchina fotografica riposizionarsi in orizzontale per salutarci con tre ultime immagini: le prime due: una mano di donna e la mano di una statua romana; quella finale: un uomo e una donna (simbolicamente l’autore e la moglie?) osservano dall’alto, avvolti nelle nuvole, ciò che hanno attraversato e condiviso assieme.
Un’ultima considerazione dell’autore: «La partenza e il ritorno viaggiano insieme. Come non si può partire se non si sa ritornare, così non si può tornare se non si sa ripartire».
Il viaggio era iniziato con l'immagine del bambino che guarda con stupore il vasto mondo. Il tornare, dunque, a quell’emozione iniziale per iniziare a capire ciò che poi è stato. E che dire di quel nuovo bambino, non meno affascinato, che guarda questa volta il mare, prologo finale della ricerca e apertura di un nuovo scenario, quello di «Soglie mobili», nella consapevolezza che «il viaggio non finisce mai. Solo i viaggiatori finiscono. E anche loro possono prolungarsi in memoria, in ricordo, in narrazione» (J. Saramago).
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