visioni d'artista
Gioânn Mura visto da Gioânn Brera. 1982, Mundial di Spagna, Brera e Mura sono inviati di «Repubblica», che vanta la più bella redazione sportiva della storia del giornalismo (grazie anche a Fossati, Clerici, Sconcerti, Smorto, Audisio), insieme a quella del primo «Giorno» del ’56, sempre con Brera prima firma.
Su un taccuino, Brera tratteggia il profilo del suo collega (non chiamiamolo erede: l’interessato ha sempre rifiutato l’“etichetta”, che pure viene istintiva a chi ha letto e amato i due Gioânn). Pochi tratti, a parte il groviglio di linee per barba e capelli, e il gioco è fatto: la somiglianza è incredibile. Gli occhi, il naso, il neo sullo zigomo. L’immancabile sigaretta che pende dalle labbra. È Mura, spiccicato. Ma potrebbe essere anche un giovane Brera. Ha scritto Mura, in morte di Brera (il più bell’articolo della sua lunga e gloriosa carriera: opinione personale, condivisa dall’autore): «Mi è venuto in mente e mi sono commosso, ma con un microfono sotto il naso non si può piangere, di quando tu hai detto a tua moglie Rina, guardandomi: ma hai visto il profilo del naso di Giovannino, la barba? Potrebbe essere nostro figlio, sputato. Sì, aveva detto la Rina».
E così, Brera sapeva usare la penna anche per disegnare (la sua specialità erano proprio i ritratti di profilo), non solo per scrivere articoli memorabili, condurre crociate tecnico-tattiche, innescare polemiche che spaccavano in due l’Italia, coniare neologismi puntualmente finiti nel gergo comune e nei vocabolari.
Il ritratto di Brera, custodito gelosamente da Paola Gius in Mura, è stato pubblicato nell’ultimo numero di «Repubblica U», a corredo di una bella intervista alla vedova di Gianni Mura, a pochi giorni dal quinto anniversario della morte. È stato un grande, Gianni-Gioânn-Giovannino Mura: campione di giornalismo e persona ricca, ricchissima di umanità. «Aveva un’etica fortissima, che ha sempre difeso», ricorda giustamente la dolcissima Paola nell’intervista a Alessia Gallione. Le sue doti più grandi? «La chiarezza, pur nell’infinita ricchezza linguistica. L’intuizione. E poi il cuore, enorme. Amava le persone». Vero, verissimo. Amava soprattutto gli ultimi. Rileggersi qualche articolo pubblicato su «Scarp de’ tenis», il «giornale di strada» con il quale ha a lungo collaborato. O rileggersi – si può pescare a caso – qualche Settimana di cattivi pensieri, una delle rubriche più longeve in assoluto (in tanti compravano «Repubblica» alla domenica per non perdersela). Quanto alla maestria nell’uso della lingua italiana, riprendere i suoi prodigiosi anagrammi (quello di cui andava più fiero, Karol Wojtyla, scritto con lettere italiane, «L’alto vicario»).
Due fuoriclasse, che non hanno lasciato eredi, ma un esercito di lettori orfani: a noi Senzabrera e Senzamura non resta che tentare di camminare nel solco che hanno tracciato.
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