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Orizzonti letterari

Roberto Barbolini, scrittore «on the road» sulla via Emilia

Pubblicata da La nave di Teseo la raccolta «Il rasoio di Beckham»

Roberto Barbolini, scrittore «on the road» sulla via Emilia

di Monica Schettino

09 Marzo 2025, 16:33

Lo scorso ventidue dicembre Simone Innocenti pubblicava su «La Lettura» un lungo resoconto sulla memoria letteraria della via Emilia e sugli scrittori che sono nati o hanno vissuto lungo quella strada che dal Po porta all’Adriatico. In questa regione geografica che è come un «contenitore di storie e di scritture» - sostiene Innocenti - in cui pullulano le case museo e le targhe intitolate ad autori classici (Ariosto, Tasso e Carducci solo per ricordare alcuni nomi) o ai nuovi classici del Novecento (come Delfini, Tondelli e Malerba), restano sconosciuti alcuni nomi, perlopiù dimenticati, come quello di Bruna Piatti autrice per Longanesi del romanzo La parmigiana(Longanesi, 1962), o anche meno noti come quello di Corrado Costa (Mulino di Bazzano, 1929 -Reggio Emilia, 1991), avvocato, ma soprattutto poeta, ironico e irriverente.

In questo caleidoscopio di scritture, di narrazioni composite, in cui l’avventura e il picaresco esercitano il loro fascino all’interno di un ricco immaginario artistico, letterario, cinematografico e musicale, Roberto Barbolini (nato a Formigine nel 1951) occupa un posto che si deve considerare oggi consolidato da almeno una quarantina di libri pubblicati tra saggi, romanzi e racconti, senza contare le curatele, le prefazioni e le traduzioni, dall’esordio nel 1986 fino ad oggi e sempre con editori di rilievo. L’ultimo di questi libri, Il rasoio di Beckham (collana «i Delfini», La nave di Teseo, 2024) è composto da una serie di racconti, di cui ventuno inediti, in cui si conferma la sua inclinazione per le forme narrative brevi o brevissime e la sua tendenza a mescidare i generi, le forme e i linguaggi.

Il titolo della raccolta contiene già di per sé un tentativo di depistaggio: «non moltiplicare gli elementi più del necessario, ammoniva il filosofo Guglielmo d’Occam» - scrive l’autore sulla quarta di copertina - ma se il rasoio è invece quello di David Beckham – aggiungiamo – cosa succede? Sarà allora l’aneddoto a prevalere, il diversivo, la divagazione nel surreale, nel comico e nel grottesco.

D’altronde il modo di raccontare di Barbolini (che vive a Milano ma ha le sue radici a Modena) «risente - come afferma lui stesso - sia di certi ritmi e divagazioni della nostra parlata orale, intendo della riva destra del Po, sia della tradizione maccheronica della riva sinistra (Folengo, ecc.), ma si ibrida con altre tradizioni umoristiche, ad esempio quella considerata da Mark Twain tipicamente americana, che si potrebbe condensare nel detto di mia nonna "è il tono che fa la musica"».

E la musica di Barbolini ha il ritmo del charleston, del rock and roll, dei film di Tarantino, delle ginocchia della zia Flavia da cui parte il racconto che apre il volume; della fuga rocambolesca di un gruppo di ladri in un allevamento di suini; di un cecchino miope e dei suoi immancabili animali alla Ligabue: un cane, un gatto e una gallina. Il suo raccontare, solo apparentemente ‘a vanvera’, sempre al limite dell’equivoco e del nonsense, sembra derivargli inoltre da quell’estro un po’ mattoide e padano che aveva già interessato l’Ariosto e che attiene alla scrittura di Antonio Delfini, di cui non a caso Barbolini è un profondo conoscitore, avendo pubblicato diversi saggi sullo scrittore di Modena e avendone raccolto recentemente i Racconti in un bel volume edito da Garzanti nel 2021.

Una scrittura colta e allusiva, dunque, ma agile e ammiccante, come spiega bene Giovanni Arpino (che fu collega di Barbolini nella redazione del «Giornale» di Indro Montanelli) nella quarta di copertina della sua prima raccolta di racconti, La gabbia a pagoda (Franco Cesati, 1986).

«Un Fellini della scrittura» lo definisce invece Cesare Garboli recensendo la seconda raccolta, La strada fantasma (Garzanti, 1991), con una formula poi largamente usata per descrivere la vena surreale e fantastica delle sue storie. La raccolta in questione vinse il premio Dessì mentre il libro successivo, Chiamala veglia (Aragno, 2001), fu candidato allo Strega e sostenuto proprio da Garboli insieme con Guido Fink.

Doppiamente acuta l’osservazione di Giorgio Manganelli che fu contattato telefonicamente da Barbolini quando lavorava nella redazione di «Panorama». «Manganelli mi disse - racconta lo scrittore - che aveva letto qualcosa di mio e di andarlo a trovare, se per caso capitavo a Roma». Poi concluse: «Lei è dotato di una curiosa intelligenza tangenziale».

La tangenziale è appunto una strada che procede in parallelo, che tocca senza attraversare, che lambisce di lato una via di scorrimento più veloce, che viaggia a latere della grande letteratura ma che collega, su diversi piani, i suoi punti più importanti. Ed è così, in effetti, l’essenza della scrittura di Barbolini, dominata da un continuo entrare e uscire dai luoghi comuni, dalle credenze e dalle storie, vere o inventate che siano, in un fitto dialogo con il lettore che può talvolta perdere l’orientamento a causa del suo procedere sghembo, tra punti di vista che si inseguono e cambiano continuamente direzione. Scrittura complessa, dunque, che indugia talvolta nel periodare, a volte è invece secca e incisiva; in cui le idee si susseguono a spirale, originandosi una dall’altra, ma attraversata da una profonda e divertita leggerezza che sfocia infine nella risata e nel gioco.

Per quanto riguarda l’affermazione di Manganelli, la vocazione patafisica di Barbolini gli impedisce poi di non considerare che l’interpretazione corretta sia invece quella più banale, che cioè - spiega - «la mia cosiddetta intelligenza tangenziale sia in realtà un modo di essere tangenziale rispetto all'intelligenza. Un dubbio che mi tormenta tuttora».

Ma nel viaggio a sghimbescio verso il quale ci conduce «non c’è tempo per rimuginare»: così ci ammonisce il protagonista del racconto I rasoi fanno male. Le vicende raccontate da Barbolini scorrono veloci attraverso il teatro della vita, senza che il rasoio filosofico di Beckham riesca a dare loro un taglio sufficientemente deciso. Anche in questo caso la soluzione è sempre la più banale: abbandonarsi alla scrittura e seguirla senza mai «affidare a malafede quel che si può adeguatamente spiegare con la stupidità».

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