arte
di Cristina Casero
professoressa associata di Storia dell'arte contemporanea e direttrice del Centro studi e archivio della comunicazione (Csac) dell'Università di Parma
La mostra «Intorno ai ’70. Ideologie, progetti, linguaggi nelle collezioni Csac», che ha inaugurato il 1° marzo e resterà allestita fino al 4 maggio negli spazi di Palazzo Pigorini, è la seconda tappa, dopo la mostra «Visioni (im)possibili. Comunicazione, utopia, progetto nelle collezioni Csac», tenutasi nel 2024, di un percorso triennale di collaborazione tra il Comune di Parma e Csac, Centro studi e archivio della comunicazione dell’Università di Parma.
Dopo avere indagato, in quella occasione, la sperimentazione creativa degli anni Sessanta, con l’esposizione «Intorno ai ’70. Ideologie, progetti, linguaggi nelle collezioni Csac», curata da chi scrive e dallo Csac, l’attenzione si sposta sul decennio successivo, che per il nostro paese ha rappresentato un momento di grandi trasformazioni sociali e di forte tensione, civile e politica, tutti fattori che necessariamente si sono riversati pure sulla cultura e sull’arte. Un decennio in cui molte certezze, a partire dai valori più tradizionali, vengono risolutamente messe in discussione. Risulta quindi molto interessante guardare a come gli artisti, i designer, i fotografi, gli stilisti e tutti quelli che operano nel campo della comunicazione visiva abbiano reagito alla situazione, interpretando sin dai finali anni Sessanta i fermenti sociali, traducendoli in una rivoluzione linguistica che, anche nel recupero dell’arte delle avanguardie di primo Novecento, apre a una nuova e fertile stagione, dagli esiti molto interessanti. Quelli sono, inoltre, gli anni in cui nascono le raccolte Csac e nei quali sono organizzate da Carlo Quintavalle le prime, spesso davvero rivoluzionarie, mostre legate al centro, ancora in fase embrionale.
La mostra «Intorno ai ’70. Ideologie, progetti, linguaggi nelle collezioni Csac» vuole essere una narrazione, per immagini, di questo fondamentale decennio attuata attraverso un’accurata selezione di opere in grado di restituire al visitatore un mosaico ricco di suggestioni e spunti di ragionamento. E si offre anche come l’occasione per conoscere una (minima) parte del ricco e prezioso patrimonio dell’Università, conservato nell’Abbazia di Valserena a Paradigna. L’esposizione si articola attraverso gli ambienti del Pigorini mettendo in luce una pluralità di linguaggi visivi che ci fanno riscoprire un’arte che non solo riflette, ma attivamente commenta e sfida, capace, ancora una volta, di stimolare una posizione critica, invitando gli spettatori a prendersi il tempo per pensare, a non limitarsi ad ammirare. Nelle sale di Palazzo Pigorini, infatti, dialogano tra loro i lavori di quanti, a prescindere dall’ambito professionale ed espressivo in cui hanno operato, hanno voluto e saputo intercettare le tensioni sociali e i turbamenti culturali degli anni intorno ai Settanta, rinnovando tecniche e linguaggi in funzione di un rapporto più diretto col pubblico, per poter comunicare, per poter provocare una cosciente partecipazione, una posizione critica, una consapevolezza del proprio vivere nella società moderna, con i suoi vantaggi e le sue criticità. Il percorso espositivo della mostra prende avvio da una serie di manifesti che restituiscono al visitatore il clima e la vivacità di quegli anni, affrontando tematiche delicate e riferite a pressanti questioni civili; a inquadrare la temperatura del momento evocato dalla mostra, ci accoglie poi la grande tela di Mario Schifano, parte del ciclo «Compagni Compagni» iniziato nel 1968 e ispirato al discorso pronunciato da Mao Tse-Tung dal titolo «Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo».
Chiaramente stilisti, designer, grafici e fotografi, per la stessa natura dei loro lavori, si trovano più direttamente implicati con la realtà. La mostra dunque prosegue con un affondo sulla moda che, negli anni Settanta, è stata innovativa e rivoluzionaria. Grazie a nomi come Walter Albini, Giorgio Armani e Krizia in Italia si assiste alla nascita dello stilismo, all’affermarsi di una moda pronta che si distanzia dall’haute couture romana, di ispirazione francese, ancora imperante negli anni Sessanta e che sposta a Milano la capitale della moda italiana. C’è poi il design, ancora nel suo periodo d’oro, con una selezione di pezzi iconici come le lampade di Achille Castiglioni per Flos e la poltrona Jumbo di Alberto Rosselli. Rispetto all’orizzonte del sogno degli anni Sessanta, nei Settanta anche i progettisti e i designer si rifanno a una realtà concreta e per i loro pezzi ricercano in primis praticità, efficienza e funzionalità, senza rinunciare a uno stile ricco di personalità, fatto di colori audaci, forme asimmetriche e divertenti realizzate in materiali nuovi, come resine, plastiche.
Ettore Sottsass con le sue ceramiche «Yantra», riprende, invece, forme classiche, quasi archetipe e materiali e tecniche antiche per oggetti che si mostrano, al contempo innovativi e moderni, tanto da essere divenuti ormai iconici.
Tra le numerose immagini raccolte nei ricchi fondi fotografici di Csac si è deciso di selezionare e presentare al pubblico una preziosa selezione di stampe che, ancora oggi molto attuali, raccontano con grande immediatezza quel decennio: dalle varie manifestazioni immortalate dai fotografi dell’Agenzia Publifoto Roma al nastro fotografico antimilitarista di Mario Cresci. Lungo oltre sette metri e composto da una serie di immagini, alcune delle quali scattate dall’artista in occasione della parata militare svoltasi a Roma il 2 giugno 1968 altre da lui scelte e montate in sequenza, il nastro era stato concepito per essere posizionato sul suolo pubblico, per le strade, sui marciapiedi, sui muri, srotolato fuori dalle finestre per dare vita ad azioni nello spazio urbano capaci di fermare le persone prese dai loro ritmi quotidiani catturando la loro attenzione, di coinvolgerle e farle riflettere. Anche gli artisti sentono forte l’esigenza di un rapporto più immediato e diretto con la gente, non solo col pubblico che abitualmente frequenta gli spazi ufficialmente consacrati all’arte, e così spesso spingono i loro interventi oltre quelli che erano abitualmente considerati i loro confini trasformando la pratica artistica in uno strumento di intervento concreto nella società. Come poi testimoniano in mostra i pezzi di Enrico Baj, Emilio Isgrò, Mimmo Rotella e Emilio Vedova, pure quando non travalicano i limiti dell’abituale supporto, restando nel tradizionale “quadro”, molti artisti prendono comunque posizione, criticano e denunciano, spesso ricorrendo all’arma tagliente dell’ironia, ognuno con la propria cifra linguistica e espressiva, con diversi supporti e materiali.
Quella al Pigorini è una mostra che per molti può rappresentare un «amarcord», un viaggio a ritroso, nella memoria; ma è anche la possibilità offerta a tutti, anche ai più giovani, di percepire lo spirito di quegli anni, drammatici, ma anche culturalmente molto vivaci.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata