CULTURA
Ci sono nomi che rimangono nella storia della cultura e della società indipendentemente dalla professione che hanno svolto. Come quello di Garibaldi, Mazzini, Verdi, Manzoni e altri, fanno parte dell’immaginario collettivo (anche se pochi ormai sanno cosa abbiano effettivamente combinato): quello di Toscanini è il nome di tante vie, piazze, orchestre, scuole e anche hotel del nostro paese. Chi sia stato non lo si può riassumere in poche righe, a lui sono state dedicate monografie, libretti divulgativi, pamphlet di ogni tipo sia durante che dopo la sua lunga vita. Viene costantemente studiato ed approfondito, la sua condotta morale portata ad esempio civile, il suo modo di esprimersi è oggetto di divertimento e sicuro interesse storico/critico. Era un direttore d’orchestra e il padre della moderna interpretazione musicale. Carlo Maria Giulini diceva che Toscanini ha fatto per la direzione d’orchestra ciò che Paganini e Listz hanno fatto per il violino e il pianoforte. In effetti, combattendo con la forza di un esercito di leoni, ha cambiato la scena dell’esecuzione musicale in mille particolari che oggi si danno per scontati: luci spente in sala, creazione della buca d’orchestra nei teatri italiani, puntualità del pubblico, abolizione dei bis, chiusura del sipario non più dall’alto al basso ma dai lati, divieto alle signore di portare in platea cappelli che impedissero la visuale a chi era seduto dietro di loro... La grande rivoluzione, tuttavia, fu quella di mettere l’opera del compositore al di sopra di tutti gli esibizionismi degli interpreti. Il suo rigore morale era tale da impedire qualsiasi tipo di intervento narcisistico e qualsiasi alterazione che andasse a tradire lo spirito della partitura.
Lo spirito ho scritto, non la lettera! La lettera, talvolta, non poteva esprimere perfettamente ciò che lo spirito intendeva trasmettere, quindi andava aiutata. Toscanini ha aiutato la Manon Lescaut di Puccini riorchestrando interi passaggi (l’autore, entusiasta, gli scrisse per ringraziarlo); il Ballo in maschera di Verdi (le sue correzioni sono entrate nella partitura tradizionale di Ricordi); la Traviata (il soprano Licia Albanese chiese al Maestro se gli interventi fossero legittimi e lui rispose che quelle cose le facevano anche quando era presente Verdi); l’Otello (Verdi, per avere una bella nota da Cassio, avrebbe preferito scambiare una parola perché la vocale risuonasse meglio); il Trovatore (meglio la Pira mezzo tono sotto che compromettere una recita); i Pezzi sacri (quando li suonò al pianoforte a Palazzo Doria a Genova per Verdi in persona, Toscanini accennò ad un rallentando non scritto: Bravo! gli disse il compositore, così si suona! - Maestro, sapesse quanto ci ho pensato, perché non l’ha scritto? replicò Toscanini. Perché nella musica non si può scrivere tutto, e poi, se l’avessi scritto, i cattivi musicisti l’avrebbero esagerato), tantissime altre pagine che hanno sprigionato tutta la loro intensità solo dopo gli interventi correttivi di Toscanini. Lui conosceva personalmente i compositori su cui interveniva: Verdi (“in ginocchio davanti a Verdi!”); Puccini (“colore, solo colore…!”); Ravel (“lei non sa dirigere il Bolero come lo dirigo io, se ne vada!”); Mascagni (“non sa armonizzare neanche una canzonetta”); Catalani, Leoncavallo, Giordano, Martucci, Petrella, Debussy, Strauss, Stravinsky, Mahler…
Toscanini nacque Rossini ancora in vita e morì dopo aver diretto per la televisione gran parte del repertorio. Ricordava quando le orchestre avevano un altro timbro prima che gli strumenti cambiassero organologia e diapason.
Le persone con cui conversava, oltre ai compositori che ora sono dei classici, erano Thomas Mann, Stefan Zweig, Cosima e Siegfrid Wagner, Hugo von Hoffmansthal, Arrigo e Camillo Boito… Era figlio di un garibaldino dell’oltretorrente che partecipò alla spedizione dei Mille, si commuoveva leggendo le lettere di Leopardi, era diplomato in violoncello e composizione nell’antica scuola del Carmine, l’attuale Conservatorio di Parma; aveva suonato alla prima assoluta dell’Otello di Verdi alla Scala come secondo violoncello osservando e imparando il metodo di lavoro del Maestro; diresse la prima assoluta dei Pezzi sacri di Verdi in Italia, dei Pagliacci di Leoncavallo, della Bohème, Fanciulla del West e Turandot di Puccini, della Edmea di Catalani; del Nerone di Boito; le prime italiane dell’Sigfried e Die Götterdämmerung di Wagner, Salomè di Strauss, Pélleas et Melisande di Debussy. Fu il vate di Salisburgo (Karajan andava in bicicletta ad a scoltare le sue prove, e la sua vita non sarà più la stessa); il primo direttore straniero a dirigere a Bayreuth (alla prima prova di Tannhauser apostrofò gli stentorei cantanti tedeschi: Nix Bayreuth, café chantant, café chantant!!), dove non tornò mai più, per protesta, dopo la presa di potere di Hitler.
Fu direttore musicale della Scala di Milano fra fine ottocento e inizi novecento, quindi dal 1919 al 1929 e la trasformò in Ente autonomo. Fu direttore musicale del Metropolitan di New York (condividendo, per un certo periodo, la carica con Gustav Mahler; gli fece una guerra così spietata che il grande boemo dovette andarsene), e delle più importanti orchestre americane. Nel 1919 si iscrisse ai Fasci di combattimento perché, come tanti intellettuali dell’epoca, vedeva in Mussolini la soluzione pratica ai troppi e drammatici problemi che affliggevano l’Italia. Si pentì poco dopo e divenne uno dei più convinti antifascisti. Il 14 maggio del 1931 venne schiaffeggiato da un fascista bolognese all’ingresso artisti del teatro emiliano perché, all’inizio del concerto, il Maestro si rifiutava di dirigere Giovinezza. Tutto saltò, Toscanini si rifugiò in hotel e poco dopo lasciò l’Italia per la sua seconda patria, gli Stati Uniti. Tornerà nel 1946 per riaprire la Scala, restaurata a tempo record dopo i bombardamenti, ma poche altre volte (tanto che il Quartetto Cetra cantava: lui stette solo un giorno e subito in America tornò).
Continuava a parlare in dialetto e a terrorizzare gli orchestrali in un misto di italiano, inglese e parmigiano. La sua fama oggi non è immaginabile né raffrontabile a quella dei musicisti viventi. Toscanini era famoso come Joe Di Maggio, Al Capone, Eisenhower… Beethoven. Era il legame con i grandi geni del passato (dirigeva che Brahms e Bruckner ancora componevano… la sua musica contemporanea era quella di Wagner e Verdi… Stravinsky e Ravel erano giovani scapestrati…); anche il mentore di grandi promesse: commissionò e tenne a battesimo l’Adagio di Samuel Barber (quello della colonna sonora di Platoon di Oliver Stone); incise con Benny Goodman la Rapsodia in blue di Gershwin; ma ancora, nelle serate di Riverdale, dell’Isolino San Giovanni o in via Durini a Milano, parlava di Verdi come se si fossero visti il giorno prima. Era il Maestro! Quello che avrebbe potuto riscrivere nota per nota a memoria qualsiasi partitura avesse studiato nella sua vita. Quello che non aveva paura di dire a Mussolini che era un maiale! Un personaggio, un genio: tutti lo adoravano e lo odiavano allo stesso tempo. Mahler: dirige in modo completamente diverso dal nostro, ma a suo modo eccezionale. Klemperer: Toscanini è la verità. Furtwangler: io non trovo pericoloso il personaggio Toscanini, trovo solo pericoloso che si pensi che Beethoven sia così. Davanti a Bruno Walter non si poteva parlare male di Toscanini, avrebbe accompagnato, con i consueti modi da gran signore, il proprio interlocutore alla porta.
Stokovsky (quello di Fantasia di Walt Disney): preferisco un errore di Toscanini alla perfezione di chiunque altro. Puccini ne era terrorizzato, Mascagni lo odiava, Catalani gli morì fra le braccia come un fratello, Karajan (o come il Maestro lo chiamava Karagiàn), quando Toscanini nel 1953 andò a Londra a dirigere le sinfonie di Brahms con la Philarmonia Orchestra, si offerse di fargli le letture come l’ultimo degli scolaretti. Ma a che serve continuare, si tratta di cose del passato che non hanno più nulla da dire a chi legge. Trovo che Paolo Nori abbia scritto il più bell’epitaffio al Maestro nella sua galleria di matti della città di Parma:
Uno era un direttore d’orchestra, nato vicino al Parco Ducale. Era uno che, per dire, quando venne nominato senatore a vita rispose al presidente della repubblica con un telegramma con scritto “No, grazie”. Raggiunta la fama, si era trasferito in America, e i teatri facevano a gara per averlo; i musicisti un po’ meno, dato che era solito rivolgersi loro dicendo: “Look at me, teste di cazzo”.
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