Mondo piccolo
In questi giorni, segnati dalla tristezza, sono molti i ricordi di papa Francesco che si rincorrono in televisione, sui giornali, in radio e su internet. Ce n’è uno, però, che è molto vicino alla gente emiliano-romagnola: un ricordo che, sinora, nessuno ha menzionato: il legame di papa Bergoglio con i personaggi di Guareschi.
Lo si era scoperto a Firenze, quando il pontefice, ai vescovi della Cei riuniti, aveva detto: «La Chiesa italiana ha grandi santi, il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente. Di sé don Camillo diceva: “Sono un povero prete di campagna che conosce i suoi parrocchiani uno per uno, li ama, che ne sa i dolori e le gioie, che soffre e sa ridere con loro”. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto. Se perdiamo questo contatto con il popolo fedele di Dio perdiamo in umanità e non andiamo da nessuna parte».
E non è ancora tutto, perché il cuore degli emiliani, il cuore di Giovannino, di don Camillo, di Peppone e di tutto il «Mondo piccolo» aveva colpito anche papa Francesco, quando era arrivato nelle terre del terremoto, a riaprire il Duomo di Carpi. Lo aveva riferito Monsignor Francesco Cavina: «Il Papa ha proprio detto, riferiva il vescovo: “Non conoscevo gli emiliani ma adesso capisco i film di Don Camillo e Peppone”, aggiungendo come sia “apprezzabile il cuore emiliano che sembra burbero, a volte, ma che in realtà dà amore in modo viscerale e quasi radicale se si rende conto di avere di fronte a sé un interlocutore in grado di amare”».
Il papa che i cardinali erano andati a prendere «alla fine del mondo», quindi, conosceva, apprezzava e capiva i personaggi guareschiani. Come il suo predecessore Benedetto XVI al quale, scrive monsignor Georg Gänswein nel suo «Nient’altro che la verità», non solo piacevano i film con Fernandel e Gino Cervi, ma: «La domenica e nelle festività liturgiche quel ritmo cambiava (la passeggiata nei giardini vaticani ndr.) con la Messa alle 8.30 e la recita dell’Angelus alle 12, seguendo in televisione Papa Francesco. Il pomeriggio era dedicato all’attività culturale; nei primi tempi ascoltavamo opere liriche e concerti in cd mentre negli ultimi anni li abbiamo visti in dvd. Al termine, una delle Memores leggeva ad alta voce un libro, e una delle scelte predilette da Benedetto era la serie di racconti di Giovannino Guareschi su don Camillo e Peppone».
Ma anche i papi del passato avevano avuto a che fare con Guareschi. Il primo fu Pio XII, cui scrisse una lettera, dai passaggi salienti fortemente indicativi, sia dell’assoluta indipendenza di pensiero di Guareschi, che della sua sconfinata, incrollabile Fede. Scriveva Giovannino: «Io accetto la Legge Divina non solo senza discuterla, ma senza neppure “ragionarla”: perciò tratto le cose grosso modo e affermo che la Divina Costituzione, per il fatto stesso che è divina, non può essere modificata dai mortali».
E ancora, ecco il suo «autoritratto» di scrittore e di uomo: «Ognuno è cristiano come Dio gli permette e non è da dire che il «Dottore Angelico» Tommaso D’Aquino fosse più o meno cristiano del «Giullare di Dio» Francesco D’Assisi. Io non sono un dottore, io sono soltanto un giullare degli uomini. Probabilmente, vedendomi rivolgere la parola a Vostra Santità, qualche stakanovista dell’acquasantiera griderà allo scandalo, dimenticando che se anche la donnetta di facili costumi può parlare direttamente a Dio, non c’è niente di scandaloso che un uomo di costumi difficili si rivolga al Vicario di Dio.» Anch’egli contemporaneo di Giovannino, il secondo papa che «conobbe» Guareschi fu Giovanni XXIII: Angelo Roncalli, già da Nunzio Apostolico in Francia, era lettore convinto delle favole di «Mondo piccolo», al punto di fare omaggio al Presidente Vincent Auriol di un volume dei racconti guareschiani, dedicandoglielo «per la sua distrazione e per il suo diletto spirituale».
E non finisce qui, perché il 4 luglio 1959 Giorgio Pillon, direttore della redazione romana di Candido scrive a Guareschi: «[…] sono stato ad Assisi da don Giovanni Rossi, alla Pro Civitate Christiana. Don Giovanni - che il giorno prima era stato dal Papa - trovò modo di dirmi che parlando con il Pontefice della necessità di rinnovare e rimodernare i testi religiosi, si era lasciato scappare l’idea di domandare a Guareschi di scrivere una nuova, più moderna e più spigliata Dottrina Cristiana. Il Pontefice non aveva affatto trovato troppo ardita una simile proposta. Ecco perché don Giovanni a mio mezzo ti domanda se trovi la proposta interessante. Il giorno dopo ebbi la risposta: “Guareschi dice che sono matti tutti e due, Papa Roncalli e don Giovanni Rossi”. Raccontai questa straordinaria proposta a Indro Montanelli, che osservò: “Al posto di Guareschi avrei accettato”».
A questo punto, vien da chiedersi: e se al posto di Pio XII ci fosse stato Papa Francesco?
Come e cosa gli avrebbe scritto Giovannino Guareschi? O piuttosto gli avrebbe forse telefonato?
Più probabilmente, conoscendo il papà di don Camillo e Papa Bergoglio, sarebbe andata a finire con un incontro, magari a Santa Marta, per parlare di giullari di Dio e degli uomini, del modo in cui rivolgersi, come hanno fatto in tantissimi, al Papa come fosse un amico di nome Francesco, talmente amico di Gesù, da poter parlare ad ogni uomo come farebbe il Crocifisso dell’altar maggiore con don Camillo.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da BCC Rivarolo Mantovano
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata