«A Ubaldo Bértoli | lieto di averlo riveduto dopo anni, | grato dell’amichevole colloquio. | Carlo Emilio Gadda | Roma 7 febbraio 1969»: è il testo dell’ envoi dei Luigi di Francia (Milano, Garzanti, [18 aprile] 1964; seconda edizione [12 marzo] 1965) riprodotto in facsimile a p. 96 della sezione Lettere a Ubaldo (scritti di Indro Montanelli, Giansiro Ferrata, Alfonso Gatto, Umberto Saba, Arturo Toscanini, Enrico Cavacchioli, Nicola Adelfi, Carlo Emilio Gadda, pp. 85-96) del catalogo della mostra Ubaldo Bertoli ritratto d’artista , a cura di Marzio Dall’Acqua (Parma, PPS Editrice, 1994), aperta all’Archivio di Stato di Parma dal 15 ottobre al 16 novembre 1994. Il ventaglio degli amici e dei collaboratori del volume restituisce la misura del circolo di ascolto di quel protagonista eslege della cultura parmigiana del Novecento, nato a Solignano il 31 dicembre 1908, morto a Bazzano, frazione di Neviano degli Arduini, il 16 settembre 2000: al lavoro del pittore, del giornalista, del narratore (autore di uno dei numerati grandi romanzi della Resistenza italiana, La quarantasettesima ) sono dedicati i saggi di Marzio Dall’Acqua, Roberto Tassi, Paolo Lagazzi, Giorgio Triani, e le testimonianze di Davide Barilli, Attilio Bertolucci, Lorenzo Bocchi, Felice Campanello, Giorgio Cusatelli, Domenico Di Palma, Adolfo Jenni, Gustavo Marchesi, Giuseppe Marchetti, Antonio Mascolo, Giorgio Orlandini, Pier Maria Paoletti.
L’esito dell’«amichevole colloquio» è, da lì a poco, la singolare intervista che, impaginata su cinque colonne, si legge a p. 5 ( Letteratura – Arte – Storia ) del «Giorno» di mercoledì 12 febbraio 1969 con il titolo La violenza fiorisce su radici contorte (occhiello: Parla Carlo Emilio Gadda. Visita circospetta all’autore del «Pasticciaccio» ); Claudio Vela l’ha ristampata, con una sobria nota a pp. 276-277, in «Per favore, mi lasci nell’ombra». Interviste 1950-1972 , Milano, Adelphi, 1993, pp. 181-184, in venticinquesima posizione tra le ventotto delle quali il libretto consta. Per avere un’idea della renitenza di Gadda a parlare di sé su sollecitazione di un interlocutore o di una interlocutrice, varrà la pena di ricordare che le interviste rilasciate da Eugenio Montale e raccolte da Francesca Castellano ( Interviste a Eugenio Montale (1931-1981) , Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2019, voll. 2) sono 272 (più una): quasi dieci volte tante.
Non sfuggirà, nella dedica, l’allusione di Gadda ad almeno un altro incontro con Bertoli in un tempo relativamente lontano: il tempo, ritengo, della comune collaborazione, con un diverso indice di frequenza, al «Gatto Selvatico», il periodico dell’Eni uscito dal luglio 1955 al marzo 1965 sotto la direzione di Attilio Bertolucci (fino all’agosto 1963) e poi di Franco Briatico (dal settembre 1963 alla fine). Non è forse indispensabile sottolineare che si tratta di due stagioni profondamente dissimili, separate da uno spartiacque decisivo: la morte di Enrico Mattei (27 ottobre 1962). Sul «Gatto Selvatico» Bertolucci esercita per delega di Mattei, propiziata da Tito De Stefano, condirettore con Ferdinando Bernini della «Gazzetta di Parma» dopo la Liberazione, e dal 1955 capo dell’ufficio stampa dell’Eni, una giurisdizione piena e per dir così assoluta; l’avvento di Briatico è perfettamente congruente con la svolta radicale impressa all’ente petrolifero di Stato da Eugenio Cefis.
Il primo articolo di Ubaldo Bertoli appare sul n. 3, settembre 1955, l’ultimo sul n. 2, febbraio 1965: una continuità impressionante interrotta tra il settembre 1955 e l’ottobre 1956 (nel ’56 Bertoli lavora al «Giorno», il nuovo quotidiano finanziato dall’Eni e diretto da Gaetano Baldacci che a far data dal 21 aprile aveva terremotato il quadro della stampa italiana) e tra il gennaio e l’ottobre 1963. La reintegrazione di Bertoli, dopo il primo congedo dal «Giorno», nella (immagino) esigua redazione del «Gatto Selvatico», sotto il patronato di Bertolucci, avviene molto presto, già nell’ottobre 1956. Nel giro di un anno si può dire senza incertezze che Bertoli diventa, del mensile, l’inviato di punta, in Italia e fuori d’Italia, capace di mettere naturalmente in atto una saldatura, a prima vista non facilissima, tra le sezioni giustapposte del «Gatto Selvatico», corrispondenti ai due poli dell’intesa negoziata tra Bertolucci e Mattei: la sezione lato sensu culturale (letteratura, lingua italiana, storia, arte, musica, teatro. cinema, radio TV, scienza, tecnica, medicina, cucina, moda, arredamento, sport, costume) e quella ‘aziendale’. L’ingresso, tra il 19 aprile e il 9 agosto 1958, nella redazione dell’effimero quotidiano «La Sera di Roma» non gli impedirà di continuare a scrivere per «Il Gatto Selvatico».
L’antologia Viaggio in Italia (sottotitolo: Un ritratto del paese nei racconti del «Gatto Selvatico» (1955-1964) , prefazione di Paolo Di Stefano, Milano, BUR Rizzoli, 2011) non dà conto di una simile dialettica e privilegia pagine di scrittori-scrittori lasciando fuori campo Bertoli: non ignorato, invece, da Elio Frascani, Una rivista per tutti: «Il Gatto Selvatico» di Attilio Bertolucci nell’Eni di Enrico Mattei , in «Memoria e ricerca», XXIV, nuova serie, 51/1 ( Intellettuali europei e politica estera , a cura di Lucia Bonfreschi e Grazia Maccaferri), gennaio-aprile 2016, pp. 161-179, rielaborato, con il titolo L’Eni e la stampa: «Il Gatto Selvatico» (1955-1965) , in Energia, cultura e comunicazione. Storia e politica dell’Eni fra stampa e televisione (1955-1976) , Milano-Udine, Mimesis, 2020, pp. 93-136, e da Carlo Verri, L’isola del «Gatto Selvatico». La Sicilia nella rivista dell’Eni (1955-1965) , in «Meridiana», 98 ( Lavoro verde ), 2020, pp. 177-194.
Del «Gatto Selvatico» Carlo Emilio Gadda, Bertolucci auctore , è senza dubbio il collaboratore più prestigioso, e tra il 1955 e il 1961 vi pubblica cinque ‘pezzi’ variamente significativi (il terzo, azzarderei, celebre, almeno per la famiglia dei gaddisti) sulla cui storia editoriale pregressa e successiva non mi è concesso di soffermarmi ora: Una fornitura importante (n. 6, dicembre 1955); Alessandro Volta e il metano (n. 10, ottobre 1956); Risotto alla milanese (n. 10, ottobre 1959); Il pozzo n. 14 (n. 1, gennaio 1960); Dalle mondine, in risaia (n. 9, settembre 1961).
Il referto redatto da Bertoli per «Il Giorno» di Italo Pietra e non più di Baldacci, che nella fluviale bibliografia critica su Gadda non ha mai detenuto uno speciale rilievo, è il risultato di una approche dichiaratamente «circospetta», piuttosto sghemba che frontale, compiuta con una accortezza e una discrezione che l’incipit apertamente disvela: «Chissà, forse è la parte creativa dell’istinto che sollecita a scoprire una rassomiglianza. Così, quando a una domanda che ritiene almeno tollerabile spiana gli occhi, Carlo Emilio Gadda assomiglia ad Alec Guinness: lo stesso preciso consenso, sprizzato d’ironia, al concetto e al significato delle parole. Gli debbono piacere i segreti della banalità, forse si diletta a giustificarne le origini, le ragioni, e deve farlo con quella dedizione all’esattezza matematica che da giovane, come lui stesso afferma, gli servì per imparare a valutare gli aspetti umani delle vicende. Due ore di colloquio, sul piano domestico, come lui ha preferito, iniziato con reciproca “diffidenza”: la sua, signorilmente manifestata, intrisa di arguzia e di tristezza».
Con una levità non proprio naïve Bertoli sollecita, o registra, la riflessione di Gadda su alcune questioni di non piccolo momento: la «politica», la «contestazione»; il «libro […] più caro»; i progetti di lavoro; l’«origine» del cognome Gadda; il «senso del paesaggio»… Prevedibilmente interiorizzato il primo tema (la politica: «Richiede troppo odio, troppo fanatismo»; la contestazione: «Forse la vera contestazione è quella che investe noi stessi, per il rimorso di aver mancato verso qualcuno…»), Gadda certifica la sua predilezione per un libro, il Dictionnaire universel d’histoire et de géographie di M.[arie]-N.[icolas] Bouillet, mai nominato altrove, ch’io sappia, e tuttavia inscritto in una intricata trama di memorie familiari («Lo regalò mio padre a mia madre, e lei, donna di cultura, lo desiderava da tempo»). Non meno importanti sono le considerazioni sulla data del Dictionnaire («Lo stesso anno in cui sono nato io. Una coincidenza che mi ha fatto sempre piacere. Eppoi mi è servito a scrivere quel divertissement, I Luigi di Francia . […] Un libro così, scritto chissà perché… Proprio un divertissement…»): purché si avverta che la princeps dell’opera risale addirittura al 1842, e che il 1893 è l’anno della «Nouvelle édition entièrement refondue sous la direction de L.[ouis]-G.[ontran] Gourraigne» posseduta da Gadda e oggi appartenente all’archivio di Arnaldo Liberati (Villafranca di Verona), erede dello scrittore. Dell’edizione (cui fa cenno Paola Italia, Come lavorava Gadda , Roma, Carocci, 2017, p. 57) si è opportunamente avvalsa Martina Bertoldi nella Nota al testo di Carlo Emilio Gadda, I Luigi di Francia , Milano, Adelphi, 2021, pp. 223-292 (in particolare pp. 254-255, 261 e 288 nota 101).
Nonostante le intenzioni («Cercherò di fare qualcosa per l’Approdo, alla TV»), dopo il 1969 Carlo Emilio Gadda non avrà occasione di collaborare all’«Approdo» televisivo, se non indirettamente, quale nolente protagonista della memorabile, testamentaria intervista di Ludovica Ripa di Meana e Gian Carlo Roscioni andata in onda la sera del 5 maggio 1972 sul Secondo Canale TV nell’ambito del programma Sulla scena della vita , a cura di Claudio Barbati (poi su «L’Approdo letterario» di giugno, pp. 103-126, infine nella raccolta di Vela, pp. 207-232, nota al testo a p. 278).
Intorno all’origine «probabilmente» spagnola del cognome Gadda («Una volta Gadda, in Lombardia, si scriveva Gada, da Gades (Cadice), e in Lombardia ci fu la dominazione spagnola») l’Ingegnere torna ad accreditare presso Ubaldo Bertoli un’ipotesi (ritenuta «fantasiosa» da Roscioni, Il Duca di Sant’Aquila. Infanzia e giovinezza di Gadda , Milano, Mondadori, 1997, p. 10) già formulata nella notizia autobiografica scritta a beneficio di Angelo Guglielmi, estensore del profilo di Carlo Emilio Gadda per I contemporanei di Marzorati (Milano, 1963, II, pp. 1051-1069): «Gadda, nome diffuso in Val d’Olona, sarebbe di origine spagnola, con un d solo: Gada» (p. 1051).
Del «vivissimo […] senso del paesaggio» (e del «paesaggio marino» in ispecie) come «difesa quotidiana contro l’imperante eccitazione del mondo motorizzato» (parole, queste ultime, di Bertoli) si sono occupati fin qui in modo sistematico due lettori di Gadda, Maurizio Rebaudengo nella tesi di dottorato Paesaggio di forme, forme di paesaggio nell’opera di C.E. Gadda (University of Connecticut, 1997) e Giulia Perosa ( Gadda e il paesaggio , Milano-Udine, Mimesis, 2023, pp. 13 e 31-32), che ha però indicato in Maddalena Marchetti, e non in Lucia Rodocanachi, la destinataria della notevole lettera del 29 maggio 1964: «Il cemento armato e la plastica e lo scatolame hanno coperto anche la terra Lombarda, la verde Lombardia non è più. Viviamo in un tetro inferno, dovunque è arrivato il cosiddetto miracolo!» (Carlo Emilio Gadda, Lettere a una gentile signora , a cura di Giuseppe Marcenaro, con un saggio di Giuseppe Pontiggia, Milano, Adelphi, 1983, p. 224).
Pressoché universale è stato invece il disinteresse dei critici per la figura dell’intervistatore (circostanza largamente diffusa in quasi tutti gli studî intorno al genere intervista) e per il taglio di un dialogo comunque fondato su una lunghezza d’onda condivisa che induce Gadda al disvelamento di due nodi cruciali della sua esistenza (il rapporto con la madre; la costitutiva inclinazione all’autocolpevolizzazione), passibili di una investigazione che sfonderebbe i confini pertinenti a una nota come questa: «Era una donna orgogliosa, molto intelligente... È stata lei a volere che diventassi ingegnere. Questione di orgoglio, per lei: orgoglio di classe...»; «Anch’io sono un colpevole. Penso di avere qualche volta fatto del male»; e ancora: «E sono colpevole di aver accettato premi prematuri alle mie opere», con questa addizione di Bertoli: «Poi mi prega di non scrivere “opere”, ma soltanto “lavori”». ( Il faut d’abord être coupable era stato, su «Paragone» del giugno 1950, il titolo della recensione alla prima edizione non clandestina, la Gallimard 1949, al Journal du voleur di Jean Genet, letteralmente ripreso dalla fascetta del libro).
Quel 7 febbraio 1969 Ubaldo Bertoli non poteva verosimilmente sapere che qualche anno prima alla porta dell’appartamento al
secondo piano, interno 13, di via Bernardo Blumensthil 19 si erano affacciati, una domenica alle dieci, un giornalista suo amico e un fotografo, entrambi di una generazione più giovane, che l’universo della comunicazione avrebbe presto riconosciuto, e non ha cessato di riconoscere, tra i maestri non controversi: Bernardo Valli e Mario Dondero. Anche la loro strategia di accostamento all’Ingegnere era stata laboriosa e callida e, almeno per la parte riguardante Dondero, coronata dal successo. Con docile, studiata gentilezza Gadda aveva accettato di ‘posare’, in casa e al Gianicolo: è molto probabile che l’archivio di Dondero esistente a Fermo presenti tracce di un ‘servizio’ mai reso noto nella sua interezza (l’immagine, datata 1962, di un Gadda pensoso, la mano sinistra aperta sulla fronte, la destra poggiata sul tavolo di lavoro, è stata esposta a Genova a Palazzo Ducale dal 16 giugno al 19 agosto 2012; sta a p. 93 del catalogo Mario Dondero. Dalla parte dell’uomo . Testi di Nanni Balestrini, Letizia Lodi, Massimo Raffaeli, Rosaria Gioia, Genova, il canneto, 2012).
Valli non racconterà compiutamente la sua conversazione con Gadda, fatti salvi due fulminei cenni al timore dell’Ingegnere di essere stato scambiato con il cugino Piero Gadda Conti o di avere offeso senza volerlo Goffredo Parise, e ne ricostruirà, magistralmente, le fasi che la precedono e la seguono (ambientate nello studio minacciato dai tarli della scrivania; sul Gianicolo; al ristorante La Campana) in una delle prime note (28 luglio 2016) della rubrica Dentro e fuori tenuta sull’«Espresso» dal 17 marzo 2016 al 9 ottobre 2022: In casa Gadda a caccia di tarli (occhiello: Storia di un incontro con il grande scrittore. Con seduta fotografica e invito al ristorante. Per un articolo che non è mai stato scritto ). Una ragione di più (certo non l’ultima) per augurarci che quello straordinario palmarès di articoli riveda prima o poi la luce.
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