MATTIOLI RITROVATO
Immaginiamo il tempo come un filo infinito, che se si rompe i capi non possono più essere annodati. Provano a farlo gli storici con trecce e tracce, ma ne nascono solo racconti. Eppure sorprendentemente è avvenuto che il caso ha permesso di riallacciare quel filo unendo un passato sospeso con un presente che ha concluso quello che era iniziato, ma mai concluso.
Siamo a Bologna. Protagonista Dino Zuffi (1913-1997), un restauratore, pittore ed incisore, vivace e creativo. Dal 1960 al 1985 ha insegnato incisione all’Accademia di Bologna, prima come assistente di Paolo Manaresi e di Luciano De Vita, poi, negli ultimi dieci anni, come titolare della cattedra, la stessa che fu anche di Morandi. Nel 1965, erano gli anni eccitanti ed entusiasmanti della crescita sociale e culturale del nostro paese, del mettersi in gioco, dell’inventare e sperimentare, Zuffi arrischiò e divenne editore in proprio di alcune cartelle di grafica con scritti e poesie di letterati e una suite di sei litografie su pietra, da lui stampate presso la ditta Minarelli, dove da giovane aveva lavorato. Queste edizioni si chiamavano Cartelle d'Arte il Collezionista, di via Santo Stefano 11, e subito ne vennero realizzate quattro e programmate altre due. Una di Manaresi, che in realtà non fu mai neppure iniziata, ed una, la quinta che avrebbe dovuto essere diffusa, di Carlo Mattioli con una poesia inedita di Attilio Bertolucci, di cui pure non si sapeva nulla, se non il titolo abbastanza sorprendente dello scritto: A una bella donna vedova da tre giorni, che in realtà era stata pubblicata in «Paragone», dicembre 1962, farà parte della raccolta Viaggio d’inverno, edita nel 1971. Null’altro. Tutto si è fermato a quella bandella con una deludente promessa. Ecco il “tempo perduto”.
Zuffi è morto da tempo e pure il figlio che conservava gelosamente le opere del padre e della sua ricchissima collezione d’arte. Tutto si è disperso, fino a due anni fa quando in modo fortunoso e casuale è stato ritrovato da Gaetano Scolaro, che commercia editoria di pregio, in un magazzino di grossista, uno scatolone chiuso da tempo che nessuno sapeva cosa contenesse. Il fascino misterioso ed esoterico, un po’ infantile, della scoperta di un tesoro lo ha coinvolto. Lacerate le chiusure, dentro è stata ritrovata l’intera tiratura di dieci litografie trasportate su pietra da carta autografica stampate da Dino Zuffi, non firmate, ma indubbiamente di Carlo Mattioli. Si tratta di una serie di nudi femminili di straordinaria intensità, che rappresentano una vera e propria ricerca espressiva in atto.
Dopo il periodo giovanile con gli splendidi nudi sdraiati dipinti, Carlo Mattioli, nelle varie fasi dell’evoluzione della sua inquieta e complessa ricerca artistica, continuò a disegnare ed immaginare figure di nudi. Gli oli dedicati alla ripresa del tema contrassegnano il periodo 1960-1962. Disegnava e acquerellava con frenesia gettando a terra, in un angolo dello studio di via San Niccolò, i fogli appena delineati a formare un ammasso di rifiuti che veniva crescendo man mano che i disegni venivano sovrapponendosi, spesso incollandosi tra loro, in una smemorata indifferenza. Un uso di molti artisti, basta ricordare il pavimento del laboratorio di Francis Bacon. Da questo imprevisto e imprevedibile giacimento li trasse Carlo Ludovico Ragghianti (Lucca, 1910 - Firenze, 1987), con ammirato stupore allorché visitò lo studio del pittore, coinvolgendo nella meraviglia l’artista stesso, che non aveva mai dato importanza alla cosa. Lo storico dell’arte incomincia a districare quell’ammasso e ne isola le carte e proprio di quei nudi si propone di farne oggetto d’esposizione. Così nel 1965 realizzò e presentò due mostre: la prima alla Galleria La Strozzina di Firenze, la seconda all’Istituto di Storia dell’Arte della Università che dirigeva a Pisa, scegliendo 223 tra disegni e grandi tempere, ed il suo testo fu pubblicato oltre che in catalogo anche sulla rivista che dirigeva «Critica d’Arte» (aprile 1965) e su «Aurea Parma» (maggio-agosto 1965).
Marco Fiori, presidente dell’ALI – Associazione Liberi Incisori con sede a Bologna, ma con soci a numero chiuso, cinquanta incisori tra i migliori d’Italia - e Arnoldo Nicola Manfredi, incisore stampatore (a Reggio Emilia dirige il Laboratorio F.lli Manfredi, e le edizioni Mavida), hanno ricostruito la cartella partendo da un modello che era nel famoso scatolone. Marcella Mattioli, erede e legale rappresentante della Fondazione Carlo Mattioli, ha autografato tutte le lito, punzonate a cura dell’Archivio Mattioli di Parma con il timbro a secco della firma dell’artista e numerate. L’affascinante storia è stata ricostruita nel numero 9 della serie I quaderni dell’ALI, dal titolo Sparse membra.
Nei prossimi mesi le cento cartelle verranno presentate al pubblico, dopo questo saggio di anticipo.
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da Media Marketing Italia
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata