Leggende amazzoniche
L’anno prossimo ricorreranno i cento anni dalla morte di Ermanno Stradelli, grande esploratore borgotarese (1852-1926) che visse per oltre 40 anni in Amazzonia, ne percorse i fiumi e la foresta, conquistando la fiducia degli indigeni di cui studiò e pubblicò la lingua, le leggende, i costumi; morì in un lebbrosario a Manaus. È stato ingiustamente dimenticato. Questo articolo, è dedicato ai racconti degli indigeni che Stradelli ha tramandato permettendone la conservazione nelle loro versioni più autentiche, prima delle variazioni introdotte dai colonizzatori.
Eiara – Leggenda Tupi-Guaranì
La prima leggenda che diede alle stampe, fu Eiara – Leggenda Tupi-Guaranì; la prefazione è datata Pisa 28 Aprile 1885. «La leggenda che oggi ti presento - scrisse - è stata da me udita e raccolta sul posto nella mia non breve dimora nelle Ammazzoni, cinque anni e mezzo circa, dalla bocca stessa degli indigeni».
Eiara, Oiara, Yiara come altri scrissero, «è uno dei principali miti della limitata teogonia Tupi-Guaranì. Il suo significato letterale sarebbe signora delle acque (da Y acqua, iara signore) ma il brasiliano delle Ammazzoni la chiama Mae d’agua – la madre dell’acque – traducendo così se non con più esattezza scientifica, certamente forse con più esattezza tradizionale.
Insieme a Tupana, il genio del bene, Iuruparì, il genio del male (Dio e Diavolo come tradussero i missionarii) Curupira e Caipora, genii che presiedono alla conservazione delle selve e alla caccia, per tacerne altri meno chiaramente definiti e di provenienza non troppo sicura, come il Boi-tatà e il Matita Perè, il mito dell’Eiara lo si trova vivo dovunque».
Essa viene personificata in un grande serpente, d’onde anche il nome di Boiassù, che vive alle sorgenti dei fiumi e dei laghi di dove non si diparte che in epoche di grande siccità, quando scende a preannunziare il pericolo che corrono i pesci a lei soggetti; ha però il potere di tramutarsi e apparire sotto l’aspetto di bellissima donna che con vezzi e canti attrae, ammalia e perde le persone, a preferenza i giovani pescatori, che le piacquero.
«Una tradizione ancor viva nei pressi d’Obidos [Stato del Parà], dove l’ho raccolta, accennerebbe a riti propiziatorii ed espiatorii a lei sacri. Narrano che i Pauscì, tribù ora spenta, solevano, quando alcuna fanciulla veniva meno ai suoi doveri, condurla con ricchi doni tra canti e suoni in un’isola dove per uso appariva l’Eiara e quivi abbandonarla dopo avere invitata la temuta divinità con canti e danze. Appena partiti diffatti l’Eiara in forma di grande serpente usciva dall’onde e se la fanciulla era colpevole, la divorava; si contentava dei doni e partiva senza recarle danno di sorta, se, ingiustamente accusata, era innocente».
Ecco alcuni versi, tutti dominati dall’intreccio tra amore e morte, tratti dalla invocazione seduttrice di Eiara, e dalla finale resa del «giovine tapuio» Begiuchira: «Nelle mie braccia scorderai la vita, / non avrai più dolore, / negli occhi azzurri miei berrai l’oblio, / sovra il mio sen deliberai l’amore, / il freddo amor che eternamente dura. / Io son la madre di quest’onda pura. / O giovinetto, che pel regno mio / remando vai leggero, / vieni, ch’io t’amo, io ti farò felice»; «Me infelice! un cuor di sasso / nutri nel seno. / Me infelice addio eternamente addio!» / Ma pria che l’aure / l’ultime voci disperdesser, vinto: / «No, no t’amo! Che val? Da te lontano / è la morte, con te la vita! Io t’amo / s’anco sei morte. Ben la morte è bella!».
Leggende del Taria
Nel 1896 la Società Geografica Italiana pubblicò, nel VI volume delle sue Memorie, le «Leggende del Taria, raccolte dal Socio corrispondente Conte Ermanno Stradelli / Guerre dei Taria al tempo del tuyxáua Bopé raccontate dai Taria».
Si tratta di un breve racconto, a tratti truce per la crudeltà dei fatti narrati, di cui si riporta il tratto iniziale: «Si ricordano ancora in paese le guerre che ebbero i Taria coi loro vicini abitanti presso questo fiume. Bopé era capo in quel tempo e la sua tribù era numerosa come i capelli del suo capo. Un giorno egli disse ai suoi: “Amici, le nostre donne son poche e non bastano acciò ciascheduno ne abbia una; quindi, perché tutti abbiate il cuore contento, vi permetto di ammogliarvi con donne delle altre tribù”. Tosto tutti i giovani Taria furono a prender moglie nelle tribù vicine: e siccome non potevano restare nella terra delle loro donne, le trassero al proprio villaggio. Bopé usava danzare tutte le notti la danza dell’Jurupary nella casa a ciò destinata, e gli uomini tutte le sere abbandonavano le loro donne. Quelle donne, tutte giovani, ne restarono tosto mal soddisfatte: la stessa figlia di Bopé, Uauhy, lo era. Però non si lamentavano troppo, sperando che ciò mutasse; ma gli uomini continuavano allo stesso modo. Passate due lune, Uauhy consigliò loro di fuggire e questo consiglio fu posto in pratica: fuggirono tutte. Immediatamente Bopé mandò i loro mariti a cercarle e questi tornarono tre lune dopo con le fuggiasche. Quando furono giunte, Bopé disse loro: “Non fuggite la seconda volta, non vogliate che il mio cuore si faccia amaro, perché allora vi manderò a gettar tutte nella cascata, cibo ai pesci”. Esse, offese, risposero: “Tuyxáua, noi non vogliamo stare in un paese dove le donne non sono ammesse a danzare coi loro mariti. Lasciali venire con noi nelle nostre terre, noi non vogliamo abitare un paese che ha così brutti costumi; là tutto è migliore”. Bopé non rispose, ma le mandò a gettar tutte nella cascata, cibo ai pesci».
Il racconto prosegue descrivendo scontri, anche fra uomini e donne, fino alla morte di Bopé; l’argomento è strettamente legato a quello di una delle Duas lendas amazonicas, scritte da Stradelli in forma poetica e in portoghese, pubblicate nel 1900, Pitiápo.
Pitiápo - Leggenda Uanana
Ecco alcuni brani della lunga e complessa introduzione, datata Canutama (località vicina all’estremità Nord della Bolivia) 16 novembre 1896, che Stradelli sottopose all’«amico lettore». Questa leggenda «fu raccolta in occasione del mio terzo viaggio al rio Caiary [affluente del rio Negro, più comunemente conosciuto col nome di Uaupés] dal mio compagno di spedizione, Maximiano José Roberto che, discendente per parte di madre dai Tarias o Tarianas, come altri li chiamano, e, meglio ancora, dallo stesso Boopé, e dai Barés per parte di padre, ottenne che gli raccontassero essi stessi le storie dei suoi antenati, cosa che, per il carattere sospettoso degli indigeni e la loro naturale circospezione e diffidenza verso gli estranei, è molto difficile da ottenere» e aggiungeva. «È il racconto che si narra nel terreiro, alla porta della maloca nella calma dei pomeriggi equatoriali, nelle notti di luna piena, o dentro, nei giorni di festa, mentre il cachiry scorre e i giovani danzano o yauty oppure nei lunghi giorni pieni di pioggia, quando gli uomini si radunano per preparare setacci, tipyty, intrecciare balaios, intagliare seggiolini, confezionare armi e ornamenti e le donne tessono tapacuras, makyras, filano tucum o curauá o lavorano l’argilla per rinnovare il vasellame di casa».
La leggenda racconta di Pitiápo, figlia di Yáiro, tuxaua degli Uananas, promessa sposa di Uaturámpua, figlio del tuxaua degli Araros, che si innamora di un altro giovane, Pacudáua, figlio di Boopé, tuxaua degli Tarias, giunto inatteso alla sua maloca, per la bravura e il coraggio che questi ha dimostrato nell’affrontare e vincere un pericoloso tratto di fiume, dal quale nessuno, fino quello momento era uscito vivo.
Volitiva e impavida, Pitiápo comunica a Uaturámpua la sua scelta; questi decide, allora, di provare di essere il più forte affrontando il fiume, ciò che risulta fatale per lui. Davanti alla minaccia di vendetta del tuxaua degli Araros, Pitiápo si pone alla ricerca di Pacudáua per evitare la tragedia: «Un costume nella mia terra / comanda che le figlie dei tuicháuas debbano /sposarsi con il più forte e impavido. / Io stavo per sposarmi quando alla maloca / Pacudáua arrivò, di Boopé figlio, / e mostrò quant’era più di tutti /valoroso e prode. Di questo figlio / di Boopé sono in ricerca, egli è il mio / promesso sposo… / I suoi occhi e i miei già si sposarono / tre volte, quando era nella mia terra».
La leggenda si svolge raccontando il successo delle ricerche, il matrimonio, ma anche le luttuose conseguenze degli scontri derivati dalla cancellazione della prima promessa di matrimonio.
Nello stesso volumetto contenente la leggenda di Pitiapo, eroina femminile, è inclusa anche quella dedicata ad un protagonista maschile, Ajuricaba.
Ajuricaba - Leggenda Manàos
La leggenda è tutta un inno alla forza, alla saggezza e allo sfortunato eroismo di una idealizzata figura di tuxaua, sconfitto ma non vinto dai Caryuas, i Bianchi.
Il 12 febbraio 1888, mentre scendeva il Rio Negro, proveniente dall’Orenoco, giunto alla foce del l’Uajanary, Stradelli annotò che il luogo era celebre per la disfatta inflitta agli indiani Manàos, comandati da Ajuricaba. Così riassumeva l’epilogo della tragica vicenda: «nel 1827, ricevuti nuovi rinforzi, sotto gli ordini del capitano João Paes d’Amaras [i Bianchi] sorprendono e attaccano Ajuricaba trincerato in un’isola di fronte all’Uajanary e, ad onta di una disperata difesa, lo fanno prigioniero con ben 2000 indigeni; ma in viaggio, quando giunge di fronte a Manàos, riesce a gettarsi in acqua» e a sparire agli occhi umani, che mai più lo videro. «Molto tempo, dice il cronista, parve impossibile ai Manàos la morte di Ajuricaba, e ne aspettarono il ritorno con un’ansia eguale all’amore e all’obbedienza che gli avevano avuto».
Chiude il racconto con una invocazione alla città, Manaus, che tramanda il nome della tribù sconfitta: «E TU, bella Regina del Rio Negro, / TU, a cui consacro il canto, TU che hai ereditato / della nazione forte il nome, TU della pietosa / credenza hai fatto una verità e il nome / dei vinti domina altero il fiume / che tanto aveva amato l’impavido capo, / Ajuricaba solo non tornò ancora, / ma se un giorno, mai sorgere possa! la sorte / avversa volesse dei TUOI forti figli / il sacrificio e il sangue, accogliente / MANÁOS, esuberante Figlia dell’Amazzonia, / in ciascuno di essi e in conflitto con noi / in altre terre nati, TU vedrai / apparire un nuovo AJURICABA».
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