il racconto della domenica
Il racconto della domenica
Le ombre lunghe dell'imbrunire disegnavano il momento peggiore della giornata per Noemi. Quello in cui il respiro della paura si faceva bollente, alitando con ferocia la sua sgradita presenza. Lui, Dario, mentre la luce svaniva nel buio, sarebbe rincasato. In quale stato? Avrebbe avuto i sensi alterati dalle bevute? Oppure la sua furia sarebbe scaturita da un diverbio coi colleghi? Qualcuno per strada lo avrebbe guardato in modo da attirare la sua funesta attenzione? Ogni sera che l'antico di giorni aveva la compiacenza di mandare in terra, Noemi e sua la mente erano pieni di pensieri di questo genere. Da tempo aveva abbandonato la conta delle liti, degli insulti e dei lividi. E allora si sarebbe trattenuta dal fare commenti. Non avrebbe preteso denari per pagare le bollette. Non si sarebbe lamentata degli aumenti dell'affitto e delle spese condominiali. Non una parola su Nora, la suocera che veniva a chiedere soldi per giocare alle macchinette.
Aveva un progetto segreto, nutrito da qualche tempo con determinazione. Dario aprì la porta e stranamente non sembrava arrabbiato. La cena era pronta. Niente di speciale ma preparata con cura. Uscita dalla fabbrica Noemi si era fermata ad acquistare un polpettone farcito di spinaci alla gastronomia, bastava aggiungere le patate ed il secondo era servito dopo pochi minuti di forno. Avrebbe gradito un bicchiere di vino ma poteva diventare molto pericoloso per cui meglio evitare. Aveva rimirato, accarezzandolo, il vasetto di nitrito di sodio acquistato on line, ma non aveva avuto il coraggio di aggiungerlo alla panna per condire il risotto. «Mio Dio ma cosa sto facendo?» si domandò Noemi.
Dario aveva brontolato perché non c'era vino e lei accampò qualche scusa, poi spintonandola con malagrazia pecoreccia si ritirò in bagno. Tutto profumato ne uscì senza un saluto. Anzi le disse: «Cos'è quella faccia da funerale? Ti è morto il gatto?». Ignorando che il morto avrebbe potuto essere lui, di lì a poco.
Noemi sorrise amaramente e nascose il vasetto facendo attenzione. Solo il fatto di averlo acquistato la ripugnava. La pungeva un dolore avvertito nel petto. Da tempo non riusciva più a provare nemmeno una sorta di prossimità per quell'uomo che non somigliava più a colui che aveva sposato pochi anni addietro. Bruciavano gli schiaffi. Ferivano le umiliazioni. Ma quello che non era più sopportabile era quella caduta dalle scale che le aveva procurato la perdita del suo bambino. Fatto che Dario aveva accolto quasi con sollievo.
Il giorno seguente di buon mattino Noemi se ne andò al lavoro senza aver mangiato. Iniziava alle 5 e lo stomaco a quell'ora era ancora chiuso. Non senza aver preparato per il marito una buona colazione, si accinse a raggiungere il suo posto di lavoro. Una telefonata le gelò il sangue. Dario non era riuscito a trovare un maglioncino che intendeva indossare e sbraitava al telefono insultandola pesantemente. Fu tentata di ritornare a casa, per servire Dario. Sarebbe riuscita comunque ad essere puntuale al lavoro: accondiscenderlo le avrebbe evitato qualche sberla serale. Ma decise di proseguire verso il suo impegno. A cena avrebbe condito il primo piatto con ciò che ormai considerava la sua unica fonte di salvezza. Era l'ora. Il disordine andava riassettato ed era tempo di dividere i cammini. Che importava se le spettava la galera: tutto era meglio pur di finirla con quella vita sotterranea. Pur di estinguere la misurazione della sua sconfitta. In carcere avrebbe studiato. Avrebbe intrecciato nuove amicizie, rendendosi utile. Si sarebbe fatta ben volere. Vestendosi per la camera bianca, il telefono la fece di nuovo sobbalzare. Sua sorella, dall'Argentina. A quell'ora calcolò, a Buenos Aires era più o meno l'una di notte, non poteva essere una telefonata di saluti.
«Noemi cara, ho una brutta notizia. Carlos è appena spirato: ieri ha avuto un terribile incidente in moto» disse Angela singhiozzando. L'unica parente rimastale era in Argentina da anni per seguire l'amato Carlos. Un ragazzo onesto. Affettuoso. Un matrimonio da favola. Gli occhi le si riempirono di lacrime pensando anche al grande dolore della sorella così teneramente amata. Che fare? Il desiderio di volare dall'altra parte del mondo e abbracciare la sorella poteva essere un modo per lasciarsi alle spalle Dario e tentare la sorte; un altro approdo. Per tutta la mattina restò a rimuginare sul da farsi. Non si sarebbe lasciata sfuggire una parola. Dario non doveva sapere. Le avrebbe impedito quel viaggio. Il passaporto era ancora valido. Mantenere il silenzio non fu facile. Giulia le si avvicinò. «Che hai Noemi? Sei pensierosa».
«Mi puoi aiutare Giulia? Devo procurarmi un biglietto velocemente per Buenos Aires. Devo partire il prima possibile. Ti spiegherò a suo tempo». Giulia che aveva visto sul corpo dell'amica frequenti lividi, aveva capito che la situazione era grave.
Rincasando, Noemi ricevette gli ultimi ceffoni con la coscienza che la storia era giunta alla sua fine. Preparò la cena, rigovernò in silenzio. Fu rimproverata di nuovo per quel mutismo fastidioso. Fu definita insensibile e demente. Ma nulla la toccava pensando che Giulia il mattino seguente l'avrebbe accompagnata in aeroporto col biglietto acquistato coi propri denari. Noemi glieli avrebbe restituiti dall'Argentina. Partiva senza bagaglio. Nemmeno un cambio per non insospettire l'orco. Nella fredda nebbia del mattino Noemi disse addio al ventre pallido di quella esistenza. La novità che avrebbe salvato entrambi, partiva da lì a poche ore. Si sentì generosa e sollevata.
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