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1995-2025

Pier Maria Paoletti, il caustico e poetico giornalista-scrittore

Pier Maria Paoletti Il caustico e poetico  giornalista-scrittore

di Anna Pinazzi

19 Dicembre 2025, 09:23

La penna sensibile da scrittore era ancorata al fiuto del giornalista di cronaca. In lui, si potevano scorgere la predisposizione alla verità e la profondità di una scrittura elegante. Insieme. La «ricerca» diventava così ricerca della verità e ricerca della parola. Tenute salde sulla «carta» nei suoi articoli di giornale o nei suoi libri.
Trent'anni fa, venne a mancare a Milano, all'età di 71 anni, Pier Maria Paoletti, il giornalista e scrittore nato a Parma nel 1924. La sua avventura con la parola iniziò poco dopo la laurea in Lettere conseguita all'Università di Bologna con una tesi su Pascoli (ecco che ritorna l'anima da scrittore), quando iniziò a insegnare alle scuole medie di Colorno. Anni in cui aveva già «adocchiato» il mondo del giornalismo, che lo attirava come una calamita. Fu proprio un giovane giornalista del «Resto del Carlino», Aristide Barilli, a fargli varcare per la prima volta la soglia della redazione del giornale. Giornale che poi diventò, negli anni, anche la casa di Paoletti, che ha lavorato proprio al «Resto del Carlino», poi «Arianna». Ma è stato anche inviato speciale del «Giorno» e collaboratore di «Panorama». Ha diretto «L'Uomo libero», «Storia illustrata» e «Padania».
Insomma, la cronaca era per lui un amore eterno. Incapace di appassire anche a distanza di anni. Accanto, scorreva vivissima la passione per un altro tipo di scrittura. Si moltiplicano le pubblicazioni e i libri che con poesia, amarezza e senza incanto rubricavano il tempo. La «sua» Parma, mai dimenticata e abbandonata, compresa. «Casa» che gli sembrava sempre di più, con il passare degli anni, «una città senza amore». Nacque così, nel 1981, il libro «Parma una città senza amore», edito da Silva per conto della sezione cittadina di Italia nostra. Il volume spiazzò quasi tutti: un' accusa e una dichiarazione preoccupata allo stesso tempo. Quasi paterna.
Nelle pagine, si poteva compiere un vero e proprio viaggio all'interno della città: con le foto in bianco e nero di Giorgio Patrizi, Pier Maria sondava lo spirito e le trascuratezze di Parma in otto brevi ma caustici capitoli. Il primo, già, fa intendere tutto: «Il desolato abbandono». E a seguire «Piazza della pace», «Quella sua aria ducale», «Il verde pubblico», «I viali», «Il Regio» (l'amato Regio che Paoletti frequentava da grande appassionato di lirica). Poi ancora «L'arredo urbano», fino a «Ecologia, ma...». Capitoli che, come lui stesso aveva scritto, «intendevano con molta semplicità reagire con indignazione di fronte allo spettacolo triste di monumenti, di opere d'arte, di testimonianze di passato splendore, o, spesso, anche soltanto di equilibrate, civili sistemazioni urbanistiche, di prospettive scenografiche che vanno in rovina».
Uno sguardo sicuramente tutt'altro che dolce e comprensivo, ma che restituisce ancora oggi la sua preoccupazione per una città, la nostra, che lo ha sempre accolto, che è sempre stata «casa». Per quel Teatro Regio che lui amava profondamente. Per la buona tavola che qui poteva trovare, a colpo sicuro. Alla lirica e al buon cibo dedicò anche due volumi che ebbero grande successo: «La buona tavola» e «Quella sera alla Scala».
Anche il suo stare a teatro diventava modo di essere giornalista e scrittore, sempre composto, saggio, sensibile. La sua missione, forse, era proprio questa: trovare la «musica» delle cose. Ascoltarle.

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