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"Picasso a Parigi", al cinema ancora per oggi

Picasso a Parigi

di Filippo Marazzini

29 Novembre 2023, 11:16

Una mattina d’autunno del 1900 un ragazzo spagnolo di diciannove anni arriva alla Gare de Lyon. Ha con sé una valigia, un cavalletto ma, soprattutto, una grande ambizione: rivoluzionare l’arte e farlo proprio lì, nella capitale mondiale della pittura. Il ragazzo si chiama Pablo Picasso e, inutile dirlo, ci riuscirà. Ma quale relazione si costruì tra il genio del cubismo e la Ville Lumière? Il luogo che forse racconta meglio questo lungo e poliedrico legame è il Museo Picasso, inaugurato nel 1985 nel centralissimo quartiere del Marais, che custodisce più di 5000 tele dell’artista e che quest’anno, nel cinquantesimo anniversario della sua morte, ha allestito una grande retrospettiva. E proprio seguendo i quadri esposti si dipana il bellissimo documentario “Picasso. Un ribelle a Parigi”, oggi alle 16:15 al Cinema Astra. All’inizio conosciamo il piccolo Pablo in Spagna, folgorato dal mondo del circo e della corrida e già considerato un genio dal padre (pittore anch’egli, lascerà il pennello dopo aver visto i primi disegni del figlio), lo seguiamo quindi a Montmartre nel suo periodo bohémien quando vive nel leggendario “Bateau Lavoir” (in realtà una catapecchia con un solo rubinetto per 35 atelier) fino al successo, ottenuto grazie al visionario intuito di Gertrude Stein. Una vita piena e sanguigna, alla costante ricerca di novità e stimoli, ben raccontata dal docufilm che presenta, tra le altre, due sezioni che valgono da sole il prezzo del biglietto. La prima è quella dedicata ad uno degli aspetti storicamente più problematici della biografia di Picasso ossia il suo rapporto con le donne. Egoista ed egocentrico, narciso e manipolatore, il pittore fu un infatti vero e proprio cannibale delle vite altrui (una delle ragazze a cui si legò scrisse: “Pablo non è un uomo, è una malattia”). La seconda è invece quella legata ai grandi archetipi, tratti dalla tradizione africana e da quella mediterranea, che Picasso utilizzò per autorappresentarsi: ecco allora ricorrere il funebre Minotauro, figura dalla natura doppia e quindi ambigua che si aggira, incompreso, attraverso un mondo-labirinto. Insomma, anche nell’ultimo, solare “buen retiro” della Provenza, emerge la malinconica (ma anche orgogliosa) solitudine del più grande pittore del Novecento che non volle mai allievi e si rifiutò di fondare una scuola, nella convinzione che l’arte non potesse sopravvivergli.


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