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Il lavoro post Covid non sarà più lo stesso. E indietro non si torna

Il lavoro post Covid non sarà più lo stesso. E indietro non si torna

di Patrizia Ginepri

28 Giugno 2021, 10:51

La rivoluzione è già in atto, per chi non se ne fosse accorto. Il lavoro, così come l'abbiamo inteso fino a febbraio 2020, appartiene al passato. La pandemia ha sparigliato le carte, ha creato dinamiche che prima dell'emergenza erano ancora in fase di sperimentazione. In neanche un anno e mezzo è cambiato il modo di concepire l’idea stessa di lavoro, i rapporti tra colleghi e con i dipendenti, così come il modo di cercare nuove opportunità occupazionali o selezionare nuove figure professionali. Anche lo smart working ha dimostrato quanto siano inutili alcune mansioni e alcuni ruoli. Tornati alla “normalità” è dunque prevedibile che prenda forma un anno di profonde ristrutturazioni. 
Le aziende dovranno ripensare la propria organizzazione e in tanti saranno chiamati ad accettare mutamenti dei propri compiti professionali. Si prospetta un lavoro sempre più flessibile e trasversale, un modus operandi liquido, per dirla con le parole illuminate di Zygmunt Bauman. Si lavorerà sempre di più per obiettivi, da qualsiasi parte del mondo, responsabilizzazione e competenze assumeranno un valore sempre maggiore. E servirà un piano formativo robusto e continuo. 

Non solo. I nuovi lavori saranno sempre meno riconducibili al binomio classico subordinazione - autonomia, avranno caratteri ibridi che richiederanno una base comune di tutele. Una cosa è certa: non basterà intervenire sui diritti in assenza di politiche industriali, di una considerazione complessiva dell’evoluzione del mondo della produzione, di nuove politiche per l’occupazione. La transizione dalla crisi alla ripartenza dovrà avere una forte connotazione qualitativa e sociale, a tutto tondo. E poi ci sono le grandi riforme avviate e sostenute dall’Unione Europea, anni di implementazione di imponenti cambiamenti strutturali sui quali si gioca il futuro del Paese.

Ma torniamo al tema del lavoro. Ora che l’Italia tutta scivola in zona bianca, è lecito chiedersi che ne sarà di una delle “rivoluzioni” innescate dall’emergenza sanitaria. Si prospetta un futuro con meno spostamenti da e per l’ufficio? Oppure si tornerà al lavoro in presenza? Il ministro per l’Innovazione tecnologica Vittorio Colao sposa la tesi di un “modello di lavoro misto”,  che tenga insieme i ritmi più dilatati che lo smart working consente al lavoratore e gli elementi “di socialità del lavoro e culturali” rafforzati dal lavoro in presenza. Insomma, se lo smart working permette al professionista di organizzare meglio la giornata, ad esempio rinunciando a un lungo spostamento fino alla sede dell’azienda, non bisogna abbattere quella fabbrica di idee e di mutuo insegnamento e supporto che, almeno nei casi ideali, rappresenta l’ambiente di lavoro condiviso.

All'estero, invece, si spinge l'acceleratore sul lavoro da casa, anche per decongestionale i grandi centri urbani a vantaggio di aree più tranquille e vivibili. In Irlanda, ad esempio, il governo ha appena svelato un piano per incoraggiare il trasferimento dei cittadini dalle principali città al resto del Paese, che prevede anche la creazione di una rete di oltre 400 centri di lavoro a distanza e agevolazioni fiscali per individui e aziende che supportano lo smart working. In altri Paesi europei, una buona infrastruttura di trasporto e la voglia di lavorare da casa hanno portato a un aumento delle persone che risiedono fuori dai grandi centri come, d esempio, Parigi e Berlino. Un sondaggio condotto su 500 aziende tedesche dall’Istituto Fraunhofer ha rilevato che il 90% delle aziende è disponibile a offrire ai propri dipendenti più opzioni per lavorare da casa.

E in Italia? A Milano che ne sarà di city life e dintorni? Nel 2020, durante la fase più acuta del Coronavirus, il lavoro agile è stato attuato da oltre 6 milioni e mezzo di smart worker, dieci volte tanti quelli del 2019. D'ora in poi, in molti settori, compreso quello pubblico, i dipendenti potranno lavorare da casa almeno 2-3 giorni alla settimana, una soluzione che contribuisce a migliorare le competenze digitali dei dipendenti e a ripensare i processi aziendali. Indietro non si torna.
 

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