Ma con il 2019 si chiude anche uno straordinario decennio: dai minimi toccati nel marzo 2009 ad oggi i listini azionari hanno avuto rialzi stellari. Lunedì 9 marzo 2009, l'S&P500 (e pure lo Stoxx europeo) toccarono il minimo, scendendo a livelli incredibilmente bassi. E i titoli bancari – le azioni di quelle banche che erano state le protagoniste di molti rialzi dei primi anni del nuovo millennio – crollarono rovinosamente dopo aver perso l'88% del loro valore quelli americani e l'83% quelli europei. Dopo quello degli anni Trenta si trattava del ribasso più imponente mai visto, che aveva fatto perdere il 57% a Wall Street, oltre il 60% ai mercati europei (ma con oltre il 70% alla borsa italiana). Quei ribassi del 2009 oggi sembrano incredibilmente distanti, sembrano un’altra epoca. Invitano però a non dimenticare e a porsi, anche nel bel mezzo dell’euforia finanziaria, qualche domanda scomoda. Quanto può durare ancora la crescita delle borse? Molti analisti sottolineano il livello eccessivo raggiunto da molte quotazioni azionarie. Allora come si spiegano questi ulteriori rialzi? E soprattutto quali sono le determinanti profonde di questi rialzi?
Il 2019 era cominciato con mille paure: il rischio di una recessione economica, tensioni geopolitiche, il rialzo dei tassi, la Brexit, la fine del mandato di Draghi alla guida della Bce, il rallentamento degli utili aziendali, la guerra dei dazi di Trump. Alcune di queste paure erano esagerate, altre avevano solide fondamenta. Ma la svolta principale è stata nell’atteggiamento della Federal Reserve: politica monetaria accomandante e ribasso dei tassi. Già il 18 dicembre 2018 Jerome Powell aveva deciso un ultimo rialzo dei tassi ma aveva – con grande sorpresa – usato toni concilianti e fatto percepire una Fed pronta ad abbassare i tassi nell’anno seguente e disposta a continuare nel sostegno monetario. Scenario che poi nel 2019 si è pienamente realizzato: la politica monetaria dunque è stata - ancora una volta - determinante.
Fernand Braudel, uno dei principali esponenti della Ecole des Annales , insegnava a guardare le onde lunghe della storia, a e dare la priorità alle strutture storiche di lunga durata più che agli eventi. Possiamo applicare i suoi insegnamenti anche ai mercati finanziari? Possiamo evitare di cadere nella trappola di guardare solo “la storia événementielle, una agitazione in superficie, le onde che le maree sollevano con il loro possente movimento. Una storia dalle oscillazioni brevi, rapide, nervose. Ultrasensibile per definizione, la più piccola mossa mette in allarme tutti i suoi strumenti di misura”? Per i mercati finanziati ossessionati dal breve termine - attenti ai movimenti dopo un tweet di Trump, che guardano in modo famelico alle trimestrali - un decennio come quello trascorso dalla grande crisi del 2008 rappresenta quasi un’epoca storica. E se guardiamo in profondità, in questo decennio vi troviamo l’incidenza delle banche centrali come fattore chiave per il rialzo dei mercati. La Federal Reserve, la Banca Centrale Europea, la Bank of Japan e la Bank of China sono stati i grandi “demiurghi” dei mercati.
Uno studio del 2016 poi aggiornato nel 2018 intitolato “The Economics of the Fed Put” di Anna Cieslak e Annette Vissing-Jorgensen ha evidenziato l’impatto rialzista delle politiche espansive della Federal Reserve. Recentemente poi si è osservata, se non una correlazione, almeno una strana coincidenza dal mese di ottobre ad oggi: l’espansione del bilancio della Federal Reserve ha coinciso con rialzi dell’indice S&P500. Quando invece il bilancio è stato ridotto il mercato è sceso. Questa strana coincidenza è risultata valida 9 settimane su 9, in particolare nei momenti in cui la Fed ha iniettato liquidità nel sistema per far fronte alla crisi dei “REPO” americani.
Ma quanto può durare questa centralità della Federal Reserve sui mercati? Non si rischia, prima o poi, di deludere le aspettative? Per quanto tempo ancora le Banche centrali potranno continuare a sostenere i mercati? Warren Buffett, sempre attento ai fondamentali economici e lontano dalle mode, ha accumulato in questi mesi una enorme liquidità nella sua holding Berkshire Hathaway: oltre 120 miliardi di dollari. Come mai tanta liquidità? Sta accumulando le munizioni per una grande acquisizione oppure, semplicemente, non trova occasioni di acquisto perché i prezzi sono troppo alti?
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