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Economia

Ma quanto costa la sostenibilità alle imprese?

Ma quanto  costa  la sostenibilità alle imprese?

di Patrizia Ginepri

08 Dicembre 2023, 07:15

Oggi nessuno si chiama fuori: lo sviluppo duraturo di ogni azienda diventa indissolubilmente legato alla capacità di operare in modo ambientalmente e socialmente sostenibile, oltre che di interagire con l’intera gamma di stakeholder. I vertici e le figure apicali aziendali sono chiamati sempre più a rendere conto della sostenibilità del proprio operato, attraverso una maggiore trasparenza per ciò che riguarda le scelte gestionali e di pianificazione. Nel frattempo, si sa, a livello europeo è stata adottata la strategia del Green Deal, che racchiude una serie di azioni che hanno effetti a livello ambientale, sociale e di governance (Esg), il cui scopo primario è quello di raggiungere la neutralità climatica dell’economia europea al 2050.
I vantaggi attesi dagli investimenti effettuati in un'ottica green sono prima di tutto economici (55%) e in secondo luogo legati alla reputazione e all’immagine (45%). Ciò emerge dall'indagine di Eumetra che ha riguardato 800 imprese attive prevalentemente nel settore dell’industria, dell’edilizia, del commercio e della ristorazione. Tuttavia, secondo l’Osservatorio Clean Technology, l’83% delle imprese ha dichiarato che la propria azienda non ha ancora un piano industriale sui temi della sostenibilità. Il restante 17% è così suddiviso: 2% lo ha a breve termine (un anno), il 7% a medio termine (2-3 anni) e l’8% a lungo termine (cinque anni).
Tra i principali ostacoli sono stati individuati: la mancanza di competenze (38%), i costi elevati delle materie prime (31%), la mancanza di incentivi (30%) e l’eccessiva burocrazia (24%). Il restante 63% dichiara di non effettuare investimenti prevalentemente a causa dell’eccessivo costo iniziale di avvio di azioni di intervento e della mancanza di normativa di riferimento e di tecnologia.
Nonostante le criticità emerse, le aziende mostrano però un atteggiamento estremamente positivo nei confronti di scelte sostenibili e di economia circolare. Le imprese più propense a investire sulla sostenibilità ambientale sono quelle operanti nel settore dell’energia, dell'agricoltura, dell'alimentare e del tessile. E tra quelle che già oggi adottano soluzioni sostenibili, due su tre affermano che la quota degli investimenti complessivi crescerà in futuro anche nell’ottica di una crescita commerciale attesa. Il 42% degli intervistati, infatti, è convinto che i clienti sarebbero più propensi ad acquistare i prodotti della propria azienda a fronte di un maggiore impegno concreto nella sostenibilità.

Una sfida impegnativa

Da un recente studio di Banca d’Italia «Questioni di economia e finanza» sugli effetti del cambiamento climatico sull'economia italiana emerge chiaramente che l’Italia, tra i paesi dell'Ue, è uno di quelli che sta pagando il prezzo più alto in tutti settori, dal primario al manifatturiero sino ai servizi. «Nel luglio scorso il nuovo presidente del Ipcc, Jim Skea, ha detto che l’aumento delle temperature globali di 1,5 gradi attorno al 2030 sarà inevitabile - premette Alessio Malcevschi, docente di Sostenibilità alimentare all'Università degli Studi di Parma -, ma nel contempo si può ancora fare qualcosa a patto che gli attori politici ed economici si impegnino nella realizzazione di efficaci piani di adattamento e di decarbonizzazione. Questa è una sfida impegnativa soprattutto per le imprese ed il mondo del lavoro, infatti la transizione ecologica nell'Unione europea potrebbe portare 1 milione di nuovi posti di lavoro entro il 2030 ma anche provocare tra i 500mila e i 2 milioni di nuovi disoccupati secondo l’Agenzia Europea dell’ambiente. e a sopportare il maggior peso della transizione ecologica potrebbero esse soprattutto le piccole aziende meno strutturate».

Le difficoltà delle piccole imprese

Nel nostro Paese ci sono 4,4 milioni di imprese attive a cui corrispondono 17 milioni e 138 mila addetti. Tra di esse le microimprese con meno di 10 addetti rappresentano il 95,13% del totale, le pmi sono circa il 4.78%, e da sole sono concorrono al 41% dell’intero fatturato generato. Infine, vi è un 0,09% di grandi imprese che sono quelle che intraprendono maggiormente azioni di sostenibilità (90,9%), quota che scende al 46,7% per le imprese di minori dimensioni che presentano caratteristiche molto eterogenee in termini di maturità sotto il profilo della sostenibilità, di rendicontazione sui temi Esg e di approfondimento degli impatti del cambiamento climatico sul business.
Le piccole e medie imprese faticano a raccogliere capitali nel mercato della finanza per sostenere i propri progetti nell’ambito della sostenibilità, principalmente a causa di una burocrazia ancora troppo complessa e costosa. Secondo uno studio di Eurochambres condotto per la Commissione Europea (su 2.141 aziende operative nei 25 Stati dell’Unione), se da un lato negli ultimi due anni quasi il 60% del campione ha effettuato investimenti nella transizione sostenibile, solo il 35% delle risorse messe in campo è stato finanziato da fonti esterne.
«Dal 2022, il contesto socioeconomico rimane incerto - spiega Malcevschi - a causa dell’aumento dei costi di molte materie prime, dell’oscillazione delle vendite, dell'aumento dei tassi di interesse, ma anche dell’eccessiva burocrazia e richiesta di certificazioni non finanziarie a partire dal 2026 e dalle normative non allineate alla realtà delle Pmi». Come si può aiutare soprattutto le micro aziende e le pmi a virare verso i vantaggi competitivi insiti nella sostenibilità senza incidere in termini di costi, risorse e tempo che pregiudicano la loro redditività e capacità di stare sul mercato? «Una possibile soluzione potrebbe essere avere accesso a maggiori fondi europei – dice Malcevschi -;, solo il 20% ha ottenuto benefici dal NextGenerationEU, ma anche usufruire di agevolazioni fiscali per le pmi che hanno una chiara e concreta strategia sostenibile in analogia con quanto avviene con le startup innovative. Con il decreto 15 maggio 2023, pubblicato sulla gazzetta ufficiale n.183 del 7 agosto, il ministero dell’Ambiente ha definito le condizioni per la concessione delle agevolazioni per supportare gli investimenti da parte delle pmi in linea con il piano di “Transizione 4.0” che prevede un finanziamento fino al 75% delle spese ammissibili. Un aspetto infine da tenere presente è la necessita di allargare l’attenzione dalle singole imprese all’intera filiera, già adesso il 76% delle mmi fissa regole precise di sostenibilità alla propria supply chain ed in questo caso le grandi aziende possono aiutare le più piccole in un’ottica di partnership non solo pubblico-privato ma anche privato-privato».

Criteri per valutare

Come si fa a distinguere distinguere tra imprese più o meno sostenibili? L’Unione europea si è dotata di un sistema di classificazione comune, la tassonomia Ue, che intende standardizzare i criteri con cui le attività economiche possono essere riconosciute come ambientalmente sostenibili. Il nuovo framework guida progressivamente le aziende verso l’allineamento delle loro attività a requisiti stringenti di sostenibilità ambientale ed è sia per le obbligazioni verdi (European Green Bond – EuGB) sia per i nuovi criteri comunitari di rendicontazione previsti con la Corporate Sustainability Reporting Directive. È un quadro ancora parziale, che ha già iniziato a produrre i suoi effetti sul sistema industriale e sul credito. In Italia, i criteri della tassonomia sono infatti già stati utilizzati per valutare l’accesso ai finanziamenti pubblici, in particolare per le risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza e sono entrati di diritto nelle «Linee guida operative degli investimenti in opere pubbliche dedicate al settore idrico» del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Più in generale, la tassonomia costituisce lo strumento principe per poter valutare come green i finanziamenti del sistema bancario alle imprese, le quali saranno chiamate a pubblicare e dimostrare il loro allineamento ai criteri di sostenibilità tassonomici con la medesima cura riservata attualmente ai dati economico finanziari di bilancio. Già oggi la Banca europea degli investimenti richiede alle imprese potenzialmente finanziabili di dimostrare il loro grado di allineamento alla tassonomia.

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