economia
Si torna a parlare di Tfr. Tra gli emendamenti riammessi alla Legge di bilancio ci sono anche quelli che puntano al rafforzamento dei fondi pensione. La proposta è quella dell'apertura di un nuovo semestre per la scelta da parte del lavoratore dipendente di spostare il trattamento di fine rapporto dall'azienda alla previdenza complementare, con la regola del silenzio-assenso. In pratica, in assenza di un'indicazione da parte del lavoratore, passati i 6 mesi, il datore di lavoro dovrebbe dunque trasferire il Tfr ai fondi pensione. Ma come funzionerebbe la novità, se venisse definitivamente approvata? E quale sarebbe l’obiettivo del governo?
Come funziona
L’esecutivo con gli emendamenti presentati punta a potenziare i fondi previdenziali complementari, strumenti di risparmio privati per i lavoratori che vanno a integrare la pensione (obbligatoria, dovuta di diritto) del sistema pubblico, quindi dell’Inps. Significa che spostando una parte dei propri risparmi, nel caso in esame del Tfr, ai fondi complementari si va a mettere da parte una forma di rendita che, al momento dell’uscita dal mondo del lavoro, si aggiungerà all’importo percepito mensilmente come pensione.
Tutti i fondi previdenziali complementari non sono obbligatori: l’adesione del lavoratore è esclusivamente su base volontaria. Gestiti da società specializzate che operano negli investimenti di capitale in strumenti finanziari, i fondi possono essere chiusi quindi accessibili solamente ad alcune categorie di lavoratori, solitamente dietro accordo tra le loro rappresentanze sindacali e quelle dei datori di lavoro) oppure aperti (senza distinzione tra professioni, gestiti da soggetti come banche e assicurazioni). A questi si aggiungono i Piani individuali pensionistici, i cosiddetti Pip, spesso legati a polizze vita o comunque attivi in ambito assicurativo.
Se l’esame parlamentare del testo della Manovra andasse ad approvare gli emendamenti della maggioranza (anche solo uno) i dipendenti avranno sei mesi per decidere se lasciare il Tfr maturato dentro la loro azienda oppure trasferirlo direttamente ai fondi pensione. Trascorso il semestre senza aver preso una posizione, si andrebbe in automatico verso il trasferimento ai fondi previsti dai contratti collettivi nazionali di lavoro o in alternativa a quelli di categoria (nel caso dei fondi chiusi) più quotati. Bisogna comunque tener presente che in realtà nelle aziende con organico che supera i 50 dipendenti il Tfr, se non viene versato in un fondo complementare, va già a un fondo dell’Inps.
I fondi in Italia e le scelte dei lavoratori
Dalla relazione Covip 2024, relativa al 2023, risulta che sono quasi 10 milioni gli iscritti ai fondi pensione, ma i giovani sono ancora pochi. Lo scorso anno i fondi pensione erano 302, in diminuzione rispetto al 2022, quando se ne contavano 332. Di questi, 33 sono i fondi negoziali, 40 i fondi aperti, 68 i Pip (piani individuali pensionistici), 161 i fondi preesistenti. La tendenza alla diminuzione del numero di fondi pensione, proseguita anche nel 2023, riguarda principalmente i fondi preesistenti. Per quanto riguarda i lavoratori italiani iscritti ai fondi, nel 2023 erano oltre 9,6 milioni, in aumento del 3,7% rispetto al 2022. Più nel dettaglio, 3,896 milioni di lavoratori (+ 5,4% sul 2022) hanno scelto i fondi negoziali; 1,902 milioni, (+5,9%) i fondi aperti; 655 mila (+1,7%) i fondi preesistenti; 3,603 milioni, +2,2%) i Pip “nuovi”, mentre sono 294mila gli iscritti, stabili ai Pip vecchi, che sono nati prima della riforma del 2005.
Il 61,7% degli iscritti appartiene al genere maschile. Le donne aderenti alla previdenza complementare sono meno degli uomini perché partecipano meno al mercato del lavoro, hanno spesso carriere discontinue e salari più bassi rispetto ai colleghi uomini. Le maggiori differenze di genere si rintracciano nei fondi negoziali. Per quanto riguarda l’età: il 47,8% ha un’età compresa tra 35-54 anni, il 32,9% ha almeno 55 anni, il 19,3% ha meno di 34 anni.
Pro e contro
Se si lascia il Tfr in azienda gli aspetti positivi sono sostanzialmente due: liquidità immediata, ovvero il “gruzzolo” rimane a disposizione del lavoratore in caso di cessazione del rapporto di lavoro; rendimento garantito: Il Tfr in azienda è rivalutato annualmente sulla base di un tasso fisso (1,5%) più il 75% dell’inflazione. L'aspetto negativo, invece è che storicamente, i rendimenti del Tfr lasciato in azienda sono inferiori rispetto a quelli offerti da molti fondi pensione.
Se vogliamo riassumere, invece i pro e contro del trasferimento del Tfr ai fondi pensione, i lati positivi riguardano appunto i rendimenti potenzialmente più alti. Infatti, i fondi offrono linee di investimento diversificate, con rendimenti medi annui che possono superare il 4% su orizzonti lunghi. Non solo. Sono previsti anche benefici fiscali: i contributi al fondo pensione sono deducibili fino a 5.164,57 euro all’anno, e il Tfr versato è tassato con un’aliquota agevolata. La scelta determinerà una pensione più alta: l’accumulo nel fondo pensione può compensare le lacune del sistema pubblico, soprattutto per i giovani.
Vediamo anche in questo caso infine negativi. Da un lato il rischio di mercato, ovvero i rendimenti non sono garantiti e dipendono dall’andamento degli investimenti; dall'altro il vincolo sulle somme: una volta conferito, il Tfr non è più liquidabile fino al momento della pensione, salvo alcune eccezioni.
Tassazione
Il Tfr non è sottoposto alla stessa tassazione degli altri redditi da lavoro dipendente. Fino al momento della sua liquidazione, se resta accantonato in azienda, viene solamente rivalutato, su base annua, come detto in precedenza a un tasso dell’1,5% a cui si aggiunge il 75% dell’indice dei prezzi al consumo (cioè dell’inflazione). Solo una volta che finisce il rapporto di lavoro scatta la tassazione: si calcola l’aliquota media dell’Irpef degli ultimi cinque anni di lavoro, ottenendo così un’aliquota più bassa di quella ordinaria, e poi si applica il 17% sulla parte spettante dalla rivalutazione. Nel caso in cui si decida di trasferire il proprio Tfr ai fondi complementari, è come se lo si andasse a investire. Verrà tassato al momento in cui dovrà essere percepito, con un’aliquota agevolata che oscilla tra il 15% e il 9%. Da cosa dipende? Dal numero di anni di partecipazione al fondo: è prevista una riduzione dello 0,30% per ogni di anno di adesione oltre il 15esimo anno, senza però poter scendere sotto il 9%.
La tassazione agevolata negli ultimi anni ha spinto verso l’alto i fondi integrativi. Alla fine dello scorso anno l’importo totale che avevano in gestione superava i 220 miliardi di euro, in aumento di circa il 9% sul 2022.
La vera novità
“Già in passato la legge prevedeva il silenzio assenso in merito al trasferimento del Tfr alla previdenza complementare – fa notare Paolo Zani, esperto di previdenza e ideatore del blog www.tuttoprevidenza.it -. La vera novità della finanziaria di quest'anno, è che si vuole dare la possibilità di scegliere anche a chi ha deciso di lasciare il Tfr in azienda. Si riaprono dunque i termini, altri sei mesi per esprimere di nuovo una scelta e dunque convincere una platea più ampia. Dagli ultimi dati a disposizione, emerge che l'adesione ai fondi complementari è al di sotto del 20%. Anche i sindacati sono stati un tantino pigri nel promuovere i fondi negoziali che sono, di fatto, gestiti molto bene. Il problema più grande però è un altro. Se si aderisce a un fondo di previdenza complementare la scelta diventa irrevocabile. Quindi questo può essere un deterrente. Inoltre, è totalmente cambiato il contesto. I rapporti di lavoro sono molto frammentari e diversificati, pertanto non conviene più lasciare il Tfr in azienda. Aveva un senso in passato perché le persone lavoravano in un'azienda per 30-40 anni. Oggi essendoci una mobilità frequente da un'impresa all'altra le persone si trovano ad avere tanti Tfr nel corso della vita lavorativa.
Non è certo che il nuovo tentativo di spostare i trattamenti di fine rapporto ai fondi pensione avrà l'esito sperato. Per risolvere il problema l'adesione dovrebbe diventare obbligatoria, ma questo fa storcere il naso, in primis, ai datori di lavoro che non tengono di certo i Tfr bloccati sul conto corrente”.
Fondi chiusi e fondi aperti
La differenza tra fondi chiusi e fondi aperti - chiarisce Zani - è che il fondo chiuso è contrattuale, ovvero gestito dai contratti collettivi nazionali di lavoro. L'aspetto più importante che lo caratterizza è che prevede sempre il contributo obbligatorio del datore di lavoro». In sostanza, aderire al fondo pensione negoziale (ad esempio il Cometa per i lavoratori metalmeccanici o il Fonchim per i chimici), oltre al versamento del Tfr, permette di ottenere anche un contributo extra - spesso attorno all’1% della retribuzione lorda - che il datore di lavoro è tenuto a conferire. Al di là del rendimento che sicuramente non è molto alto, i fondi chiusi sono estremamente sicuri. A questo proposito mi piace sempre citare un esempio significativo: quando nel 2003 è avvenuto il crac della Parmalat, non c'era un solo fondo che avesse in pancia azioni della multinazionale del latte. Naturalmente se si passa, ad esempio, dal settore metalmeccanico a quello chimico anche il fondo può essere trasferito, diventa in pratica una sorta di Tfr ma con un rendimento sicuramente migliore. In termini generali, è fondamentale integrare la pensione, che ai miei tempi valeva circa l'80% dell'ultimo stipendio mentre oggi, con il sistema contributivo, nella migliore delle ipotesi raggiunge il 60%».
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