La geopolitica dell'industria
I nuovi scenari geopolitici stanno ridisegnando, con una certa rapidità, le dinamiche economiche globali, influenzando i prezzi delle materie prime, l'inflazione e le politiche monetarie. Con impatti sulla sostenibilità economica - sociale e territoriale alla base anche della transizione green, l'Europa e l'Italia in particolare sono al centro di questi cambiamenti, che comportano implicazioni significative per il futuro economico e politico del continente. La sostenibilità rappresenta non solo una necessità, ma anche un'opportunità per costruire un futuro più resiliente. Innanzitutto bisogna recuperare competitività e questo significa anche intervenire su attività a non valore, sulla riduzione delle complessità e sull'utilizzo dei materiali.
Lo scenario
La transizione da un sistema energetico basato sui combustibili fossili a uno fondato sulle energie rinnovabili e sull’elettrificazione rappresenta una delle sfide più significative del XXI secolo. Questa trasformazione va oltre la semplice decarbonizzazione, ridefinendo le dinamiche di potere globale e spostando l’influenza geopolitica dai tradizionali «petrostati» come Arabia Saudita e Russia verso gli «elettrostati» come la Cina. Minerali critici come rame, nickel, litio, cobalto e terre rare, essenziali per le tecnologie verdi, sono al centro di questo cambiamento, alimentando nuove dipendenze e tensioni geopolitiche. L'elevata concentrazione della produzione di queste materie prime in un numero limitato di paesi pone rischi significativi alle catene di approvvigionamento globali. Diversi paesi chiave per l’approvvigionamento di questi materiali sono attraversati da forti instabilità e tensioni. Ad esempio, la Repubblica Democratica del Congo, principale produttore mondiale di cobalto, è da decenni teatro di conflitti armati e colpi di Stato.
Un caso a parte è la Cina. La dipendenza da Pechino si estende ben oltre la semplice estrazione di risorse critiche, come le terre rare e la grafite, di cui detiene oltre il 90% della produzione globale. Il vero nodo geopolitico è rappresentato dalla posizione dominante della Cina nel processing e nella trasformazione di queste materie prime. La Cina non è il principale produttore domestico di cobalto, nichel e litio, ma controlla tra il 60% e l’80% della loro capacità globale di raffinazione, rendendosi di fatto un passaggio obbligato per questi materiali. A tutto questo si aggiunge un vantaggio competitivo insormontabile nella produzione di componenti chiave per le tecnologie pulite. In altre parole, il rischio non riguarda solo il controllo delle miniere, ma l'intera catena del valore, dalle materie prime ai prodotti finiti.
La manifattura europea
La recente pubblicazione «Mapping the impact of industrial decline on European regions» (Ue, marzo 2025) evidenzia come il settore manifatturiero sia la spina dorsale dell'economia europea rappresentando direttamente il 14% dell'occupazione nonché il 15% al Pil. «Tuttavia, negli ultimi anni, il settore è stato esposto a una combinazione di venti contrari strutturali e choc specifici - fa notare Alberto Claudio Tremolada, European Raw Materials Alliance, esperto di mercati, materiali e tecnologie - alimentando timori che l'Europa possa aver intrapreso un percorso di deindustrializzazione.
Al tempo stesso, aumentano le preoccupazioni riguardo al settore delle costruzioni e alla sua capacità di prosperare in un ambiente di tassi di interesse elevati, costi di input in aumento e carenze croniche di manodopera. Per alcuni, tra i settori più importanti (automotive - basic metals - chemicals - fabricated metals - machinery - non metal minerals and construction) esistono alcune interdipendenze contrarie che, senza messa a terra interventi strutturali di breve-medio e lungo periodo, li trasformeranno in maniera significativa. Il riferimento è all'aumento dei costi energetici legato all'invasione russa dell'Ucraina, alla domanda contenuta da parte dei principali clienti a causa di un rallentamento industriale globale a cui si sommano una sovra capacità globale significativa, la crescente concorrenza dalla Cina per prodotti di alta qualità, le dipendenze emerse con la pandemia, la carenza di manodopera qualificata». A questo, secondo l'esperto, si aggiungono normative europee non armonizzate, politiche industriali Ue non strutturali, l'incertezza del diritto nei singoli paesi, nonché l'aumento del protezionismo e dell'autarchia economica dei singoli Paesi.
«Come ripeto da tempi non sospetti - spiega Tremolada - la responsabilità è anche nostra nell’aver scelto (per costi-profitti pur sapendo i rischi che si correvano) una delocalizzazione selvaggia verso Paesi low cost che non avevano industrie sviluppate e popolazione con un adeguato potere acquisto per alimentare consumi interni. Di fatto abbiamo contribuito ad auto-crearci concorrenza in tutti i settori con lo svantaggio di non essere competitivi sui costi e dipendenza anche sulla componentistica difficilmente sostituibile. Fare concorrenza sui costi è guerra persa con i Paesi low cost e, al tempo stesso, pensare che norme riviste o abrogate ci ridiano la competitività persa è una strategia zoppa. Le guerre commerciali non si ripercuotono solo sui Paesi sanzionati, ma anche sull'economia degli Stati sanzionatori. È importante trovare un equilibrio tra gli obiettivi politici e il mantenimento della stabilità economica e della competitività dell'industria».
I prezzi delle materie prime critiche
Le tensioni geopolitiche, come quelle tra Stati Uniti e Cina, il conflitto in Ucraina e le previsioni di esplosione fabbisogno trainato dalla transizione energetica hanno avuto un impatto diretto sui prezzi delle materie prime critiche. In particolare, le sanzioni internazionali e le interruzioni delle forniture hanno portato a una considerevole volatilità dei prezzi, influenzando il costo della produzione e la distribuzione dei beni.
L'aumento dei prezzi del gas e del petrolio ha colpito duramente l'Europa, che dipende fortemente dalle importazioni di energia, con impatto diretto anche sui costi di trasformazione e logistici delle materie prime critiche che si estende a tutti prodotti che le incorporano. «In questo periodo - evidenzia l'esperto - si assiste alla fluttuazione delle quotazioni delle materie prime critiche. In particolare è necessario porre attenzione sull’aumento delle quotazioni delle leghe di alluminio da riciclo, che dovrebbe continuare per tutto il 2025, per carenza della disponibilità di rottami dovuta all'aumento dell'import da parte di Paesi come Cina e India disposti a pagarli a prezzi maggiori. Tuttavia, le criticità non riguardano solo le quotazioni, con impatti su aziende e consumatori, ma anche la carenza di disponibilità per alimentare le produzioni».
Prospettive per l'Italia
L'Europa sta cercando di diversificare le sue fonti di energia e di rafforzare la propria autonomia strategica per le materie prime critiche e l'investimento in energie rinnovabili e l'adozione di politiche per l'efficienza energetica sono parte integrante di questa strategia.
«Tuttavia - avverte Tremolada - la transizione non è immediata e richiede ingenti investimenti e tempo. La crisi energetica rappresenta una sfida, ma anche un'opportunità per accelerare la transizione verso un'economia più sostenibile. Ma siamo in ritardo di decenni per inazione anche di chi è preposto a decidere. Pensare di raggiungere in pochi anni target di sostenibilità è una sfida poco sostenibile. L'Italia, in tutto questo, è particolarmente vulnerabile alle fluttuazioni dei prezzi energetici - prosegue l'esperto - data la sua dipendenza dalle importazioni. L'idea che la transizione energetica porterà all'eliminazione dei combustibili fossili e che questi saranno sostituiti dalle energie rinnovabili, principalmente eolico e solare, si è dimostrata irrealistica, dati i limiti di soddisfare la crescita della domanda di elettricità con le rinnovabili. L'eolico e il solare continueranno a crescere, ma possiamo aspettarci di vedere un aumento di generazione utilizzando gas naturale e l'energia nucleare come fonti di energia di base stabili. L'energia nucleare avrà un impatto sulla domanda di uranio e il settore sta già assistendo a un aumento dell'attività con progetti minerari che sono rimasti fermi per anni e ora rivalutati. La decarbonizzazione continuerà a guidare l'attività dei progetti, poiché le aziende cercheranno di elettrificare e ridurre la loro impronta di carbonio».
Cosa serve
Secondo l'esperto, «le aziende che cercano di rinnovare le proprie supply chain devono cambiare il modo in cui operano internamente. Le funzioni di approvvigionamento dovranno adeguarsi, così come lo sviluppo del prodotto, la finanza, la strategia e la sostenibilità. Ridurre le complessità e funzionalità non necessarie, così come gli sprechi e le attività a non valore, l'utilizzo di materiali e servizi e molto altro, porta a diminuire rischi, costi, esposizione finanziaria e inoltre accorcia le supply chain, diminuendo la dipendenza anche per le materie prime. Non solo. Tutto questo aumenta l’appetibilità nei mercati finanziari e l’attrattività dei talenti. Con enormi vantaggi competitivi e di antifragilità del business. È possibile farlo subito».
Alberto Claudio Tremolada (European Raw Materials Alliance) è un esperto di mercati, materiali e tecnologie e commenta la recente pubblicazione «Mapping the impact of industrial decline on European regions» (Ue, marzo 2025).
© Riproduzione riservata
Contenuto sponsorizzato da Centoform
Gazzetta di Parma Srl - P.I. 02361510346 - Codice SDI: M5UXCR1
© Gazzetta di Parma - Riproduzione riservata