L'editoriale
La domanda più diffusa di questi mesi: come sta andando in concreto l’economia degli Stati Uniti? Il Pil in America ha continuato a crescere, ma il fatto recente più importante è il crollo dell’immigrazione, scesa di fatto a zero, rispetto ai 2 milioni e mezzo d’immigrati dell’ultimo anno della presidenza Biden. E questo è uno shock enorme: per la prima volta nell’ultimo secolo, il numero di stranieri che lasciano l’America è maggiore di quelli che entrano. Il secondo fatto è stata l’introduzione massiccia dei dazi sugli scambi internazionali. Secondo molti economisti, questo avrebbe portato al disastro economico ed all’inflazione. Ma così, fino ad oggi, non è stato.
Nemmeno la Borsa è crollata, prima conseguenza del previsto disastro, anzi fino ad oggi l’indice S&P quest’anno è cresciuto del 15%. Con un autentico boom per le start-up nell’intelligenza artificiale: le prime 10 (Perplexity, Anysphere, Scale AI, Safe Superintelligence, Thinking Machines Lab, Figure AI, Databricks, OpenAI, Anthropic e xAI) - pur accumulando perdite - hanno visto aumentare la propria valutazione di Borsa negli ultimi 12 mesi di mille miliardi di dollari. Da parte loro i venture capitalists hanno investito direttamente 161 miliardi.
I continui investimenti sono così ben motivati: «è chiaramente una bolla… ma le bolle sono buone. Accoppiano risorse economiche e talenti, in un nuovo contesto, che alla fine lascerà morti sul campo. Ma le bolle tracciano un nuovo ambiente imprenditoriale, di lunga durata, che cambierà il mondo». In quella delle dotcom del 2000 vennero investiti 20 miliardi di dollari (a valori attuali); nel 2021 ne sono già stati investiti 135 miliardi, che saranno più di 200 quest’anno.
Va tutto bene, per ora, ma con una diversa prospettiva è cresciuta enormemente l’incertezza. Gita Gopinath, ex capo economista del Fondo Monetario, ha scritto un breve saggio che ben illustra i rischi della situazione attuale. Il problema fondamentale - scrive la Gopinath - consiste nel fatto che il mondo oggi è diventato troppo dipendente dalla Borsa americana. Dopo la crisi del 2008, si è avuta una rapida ripresa della Borsa americana, che ha raccolto nuovi investimenti del risparmio americano, che hanno sempre offerto significativi rendimenti, accoppiati al progressivo dominio delle imprese tecnologiche Usa.
Questo ha di seguito sempre più attirato investimenti esteri, in particolare dall’Europa, beneficiando - tra gli altri - del robusto andamento del dollaro. Questo però implica oggi che un rallentamento della Borsa e/o un indebolimento del dollaro riprodurrebbe i propri effetti in tutto il mondo. Se il ridimensionamento della Borsa americana fosse equivalente a quello di 25 anni fa con le dotcom, la perdita di ricchezza per le famiglie americane sarebbe di 20 mila miliardi, pari al 70% del Pil americano del 2024. La crescita dei consumi - già non particolarmente robusta - scivolerebbe verso una riduzione del 3.5, con una riduzione del Pil del 2%. Senza contare la conseguente caduta degli investimenti. Per gli investitori esteri sulla Borsa americana la perdita stimata sarebbe di 15 mila miliardi di dollari, pari al 20% del Pil del resto del mondo. Si rammenta che la perdita in Borsa per la crisi delle dotcom comportò una perdita del 10% del Pil del resto del mondo, ovvero esattamente della metà di quanto sarebbe previsto per il caso di oggi.
Questo esercizio dimostra - ancora una volta - quanto il mondo dipenda dall’America. Ma non solo. In aggiunta è poi l’incertezza relativa al dollaro. Nonostante le costanti imprecazioni contro la prepotenza del dollaro, il dollaro rimane l’assicurazione-rifugio di lungo periodo per gli investitori che vogliono tutelare la propria ricchezza nei momenti in tempi di crisi. Ma la solidità del dollaro non è garantita in questa ipotesi di crisi. Nei mesi recenti, l’introduzione dei dazi e una politica fiscale espansiva avrebbe dovuto rafforzare il dollaro. Ma così non è stato, il dollaro si è indebolito rispetto alle altre valute principali, anche se rimane sempre il pilastro centrale del ponte delle relazioni finanziarie internazionali. Ma il contesto globale si è complicato. Sul fronte interno, l’attacco costante di Trump verso l’indipendenza della Riserva Federale sta indebolendo la fiducia degli operatori internazionali nella capacità della Fed di poter lavorare senza la pressione esterna della politica. In una fase di debito pubblico americano ai livelli mai visti dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Il Fondo Monetario ha calcolato che il debito pubblico globale è oggi pari a quello del 1948. Sul fronte internazionale, gli effetti dei dazi sul commercio globale e la costante conflittualità con la Cina (che ha reagito imponendo a sua volta restrizioni sull’esportazione delle terre rare, indispensabili per le produzioni ad alta tecnologia), sollevano nuove ondate d’incertezza che possono minare le fondamente dei mercati. D’altronde lo stesso aumento di produttività concentrato in America, escludendo l’Europa (come evidenziato dal Piano Draghi), crea ulteriori ragioni d’incertezza, perché da un lato distorce le competizioni settoriali, e quindi dall’altro impedisce solide valutazioni di imprese e investimenti (impedisce ragionevoli stime dei rendimenti futuri). Il saggio Martin Wolf, la voce più autorevole dell’autorevole Financial Times, ha scritto nei giorni scorsi che la confusione di oggi non dovrebbe sorprenderci. «Stiamo assistendo a due eventi enormi: l’abdicazione degli Stati Uniti a potenza globale egemone, e l’incontrollato sviluppo di quella che potrebbe essere la più importante innovazione tecnologica della storia dell’umanità, l’intelligenza artificiale». L’economia del mondo ha già affrontato nel passato shocks e incertezze, e se l’è sempre cavata. Fino ad oggi.
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