Prima o poi doveva succedere. Ma nessuno si aspettava che sarebbe avvenuto così presto. Ieri, a ventiquattr’ore dallo spoglio dei voti per le amministrative, è andato in scena il primo scontro davvero aspro fra Draghi e Salvini.
Non che in passato fosse mancata qualche tensione fra il premier e il leader della Lega. Ma l’assenza degli esponenti del Carroccio al Consiglio dei ministri che ha dato il via libera alla riforma fiscale è qualcosa di più di una semplice scaramuccia.
Questa volta non si sta parlando di qualche «incomprensione» sulle regole del Green pass, o sull’accoglienza dei migranti. Quello della riforma fiscale è un tema «sensibile». Tutti, a parole, sono d’accordo sul fatto che occorra metterci mano. Ed è quanto previsto nel programma del governo per rispettare gli impegni presi con l’Europa. Ma come realizzare le modifiche in concreto è tutta un’altra cosa. Già da alcuni mesi, le tensioni dentro il governo su questo tema erano alte. E non è un caso che Draghi avesse accantonato la riforma fiscale per tutta la campagna elettorale. Ma dopo il primo turno delle amministrative, ha deciso che non si poteva più aspettare e ha accelerato. Un azzardo? Una forzatura? Possibile, ma c’è chi a Roma fa notare che gli impegni presi sono chiari e i tempi stringono: «una riforma serve», hanno detto e ripetuto Draghi e il ministro dell’Economia Franco.
La Lega aveva segnalato che non avrebbe preso in considerazione una riforma che contenesse alcuni punti, a cominciare dalla riforma del Catasto di cui si parla da decenni e che non è mai stata realizzata. Ma, a sentire Salvini, ci sarebbe anche dell’altro nella delega del governo che non gli va giù: aumento della flat tax, revisione dell’Irap e soprattutto- sostiene- nessuna misura che vada verso una riduzione della pressione fiscale.
Si vedrà nelle prossime ore cosa deciderà di fare il leader della Lega. È probabile, come sostiene qualcuno, che il suo attacco sul fisco, sia mirato a far dimenticare velocemente i deludenti risultati elettorali. Di certo, per lui, il momento è complesso. Il voto delle amministrative ha segnato una nuova battuta d’arresto per la Lega. E la sua leadership è sicuramente indebolita rispetto ai mesi scorsi. Non è un mistero che nel partito c’è un’ala governista che vuole che questo esecutivo duri, come vanno ripetendo da mesi Giorgetti e i governatori delle Regioni del Nord. Salvini non può ignorarla, ma è evidente quanto faccia fatica a digerire questa maggioranza. Soprattutto sa che, se c’è un tema che può mettere d’accordo varie frange della Lega e tenere compatto il suo partito, è proprio quello fiscale. E non è un caso che abbia deciso di alzare la voce subito proprio su questo.
Draghi può anche tirare dritto e infischiarsene delle critiche leghiste. Ma non è detto che voglia farlo. Il governo ha i numeri in Parlamento anche senza il Carroccio. E non sono certo molti fra deputati e senatori quelli che smaniano per aprire una crisi e rischiare di andare a casa proprio mentre ci sono da gestire i miliardi del Pnrr. Ma ovviamente un conto è governare, come oggi, con una maggioranza che copre la quasi totalità del Parlamento, con la sola eccezione di Fratelli d’Italia. Altro conto sarebbe guidare una compagine che ricalca quella giallorossa del governo Conte II, con l’aggiunta dei parlamentari e dei ministri di Forza Italia.
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