A prima vista sembra una battaglia legale di scarsa importanza per l’opinione pubblica mondiale, ma il fatto che una corte federale statunitense abbia respinto per mancanza di prove l’azione antitrust avviata dalla Federal Trade Commission - l’Authority Antitrust Usa - e da 46 Stati americani su 50 contro Facebook è invece un evento che merita una riflessione approfondita. Prima di tutto consideriamo il contesto: queste due cause fanno parte di un più largo sforzo di governare e limitare - per quanto possibile - l’enorme potere che i giganti della Silicon Valley hanno accumulato in questi anni.
A quanto pare, però, questa strategia a livello giudiziario non sta funzionando, o, per lo meno, non sta funzionando come dovrebbe. Ora invece consideriamo le motivazioni dietro le decisioni del giudice James Boasberg. Quest’ultimo ha ritenuto insufficiente la documentazione depositata dalla Ftc per affermare che Facebook ha il monopolio sui social network controllando il 60% del mercato. La chiusura comunque non è totale, visto che l'azione antitrust dell’Authority può essere ripresentata nell’arco di 30 giorni. Più pesante la motivazione dietro il diniego alla causa degli Stati Usa che prendeva di mira le acquisizioni di WhatsApp e Instagram, completate da Facebook nel 2014 e nel 2012.
In questo caso il giudice ha stabilito che è passato troppo tempo tra i fatti che hanno generato la causa e la presentazione della stessa. In sintesi, secondo il giudice, dovevano pensarci prima. E quindi la strada è sbarrata nonostante il fatto che l’enorme potere di Facebook nel campo dei social network sia enormemente potenziato dall’essere proprietario del principale sistema di messaggistica mondiale (WhatsApp) e dal maggior social basato sulla condivisione di immagini (Instagram).
Però il problema rimane, solo che, come ci si immaginava, la via più semplice, quella giudiziaria, è anche la più impervia. E non solo per il fatto che l’enorme massa di denaro accumulata dalle Big Tech permette loro di avere i migliori avvocati presenti su piazza, ma anche per il fatto che la legislazione Antitrust Usa – una volta tra le più severe del mondo – si è evoluta a favore delle grandi corporation e ora non basta più dimostrare che la compagnia abbia una quota di mercato altissima (cosa che è vera nel caso di Facebook), ma bisogna anche provare che da questo strapotere di mercato derivi un danno per il consumatore. E questo è molto più difficile, anzi è quasi impossibile.
L’Amministrazione Biden ha dimostrato che intende procedere contro le Big Tech nominando a capo della FTC una giovane, ma qualificatissima, giurista che si chiama Lina Khan, insegna alla Columbia Law School e le cui impeccabili credenziali accademiche sono state tutte guadagnate in studi in cui si chiede, appunto, di ritornare nel campo della legislazione antitrust alla severità iniziale, quella dello Sherman Act, per intenderci. Ma il potere della Ftc è limitato se non si cambiano le leggi in modo che impediscano l’attuale interpretazione che è tutta a favore delle grandi corporation.
Il problema, allora, diventa quello delle leggi. E, in effetti, la Camera dei Rappresentanti (a maggioranza democratica) si appresta a valutare sei diversi provvedimenti per controllare i colossi della Silicon Valley, incluso uno che prevede il loro spezzatino – cioè la divisione in pezzi della società, come accadde ai giganti dell’industria petrolifera e a quelli della telefonia in un tempo nemmeno troppo lontano - così da limitarne la forza. Ma oltre alla Camera c’è il Senato dove la maggioranza democratica è risicatissima e le regole impediscono comunque di governare con la sola forza dei numeri, peraltro non sicurissimi. Sull’idea di limitare il potere delle Big Tech a parole sono tutti d’accordo, ma mentre i democratici pensano di agire sui monopoli di fatto, i repubblicani – dopo l’esclusione di Donald Trump da Twitter e Facebook – sono sicuramente più interessati al tema della libertà di pensiero e ossessionati dal pregiudizio – a loro dire fortissimo – dei social network a favore dei punti di vista progressisti. Come si vede si tratta di posizioni distantissime e quindi fare una sintesi coerente è quasi impossibile. Intanto, però, le grandi società tecnologiche continuano ad accumulare sempre più potere. Negli Stati Uniti e nel mondo.
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