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Sconfitta 5 anni dopo la Brexit

Sconfitta 5 anni dopo la Brexit

di Augusto Schianchi

13 Luglio 2021, 08:52

Con la sconfitta contro l’Italia nel campionato europeo, l’Inghilterra non avrebbe potuto festeggiare nel modo peggiore i 5 anni da quando, dopo un referendum, il Regno unito decideva di lasciare l’Unione europea; giusto 6 mesi fa l’accordo finale per l’uscita definitiva. Boris Johnson, accanito in favore della Brexit, nel frattempo, ha conquistato la leadership dei conservatori ed assunto la carica di primo ministro, stravincendo le elezioni generali. All’opposizione i laburisti, per parte loro, sono sprofondati in un profondo rosso.

All’origine il pensiero dei brexiters era: «Ci riprendiamo i nostri confini e ci liberiamo dei burocrati di Bruxelles. Tanto non cambierà nulla per gli scambi commerciali, perché non conviene nemmeno agli europei». La Brexit era anche un’inconscia vendetta nei confronti dei tedeschi, che avevano perso la guerra, ma avevano vinto la pace, diventando in alcuni decenni il paese più influente d’Europa.

Un secondo pilastro della Brexit era la convinzione sostenuta dal ministro Lord Frost incaricato dei rapporti con la Ue (che indossa calzini con la bandiera inglese): il confronto sarebbe stato tra poteri sovrani uguali. 

Con l’enorme svista che l’Europa Unita non è uno stato sovrano, ma un’istituzione internazionale. La Gran Bretagna si trova quindi nella scomoda situazione di “paese terzo”, e da lì è costretto a trattare. Con il paradosso che gli Inglesi considerano se stessi ideologicamente puri, e pretendono che per contro gli Europei siano pragmatici e flessibili. 
Il terzo aspetto accantonato dai Brexiters, sono i numeri del rapporto tra Regno unito ed Europa. Ad esempio (di Martin Wolf) prendiamo la Danimarca: è ottima amica degli inglesi, e suo quarto partner commerciale. 
Ma la Danimarca commercia 6 volte tanto con l’Unione europea. Quale sarà la scelta della Danimarca tra Regno unito e Unione europea? Ci sono pochi dubbi.

L’Unione europea esporta nel Regno unito il 15% del proprio totale (pari al 3% del PIL europeo); il Regno unito esporta nella UE il 45% del suo totale (l’8% del proprio Pil). A questo si aggiunga che lo stravagante Johnson (che aveva promesso un giorno di festa in caso di vittoria contro l’Italia) ha raccontato balle sull’accordo tra Irlanda del Nord ed il resto del Regno unito.  E questo ha indotto l’Unione europea a non fidarsi più di lui, inducendo nei suoi riguardi un atteggiamento di totale indifferenza (a partire dalla Merkel). 
D’altronde la strategia di Johnson è stata: prima facciamo la Brexit (coalizzando e galvanizzando i Conservatori); poi ci occuperemo delle conseguenze. Il tempo delle conseguenze è ora arrivato.

Sulle conseguenze burocratiche basti pensare alle complicazioni (inutili) delle garanzie di qualità del marchio Ce in Gran Bretagna, e viceversa.  Ora, chi garantirà la qualità dei ricambi (ad esempio) per gli ascensori tedeschi? (visto che il marchio Ce non è più valido).  E l’elenco potrebbe continuare. A Dover ci sono solo 4 linee per il controllo dei documenti doganali per i trasporti. Se le autorità inglesi non intervengono subito si possono immaginare code che si prolungheranno nel Kent. Non a caso, un terzo delle imprese inglesi ha visto un peggioramento per le proprie esportazioni. Senza contare i problemi relativi all’immigrazione, sprofondata nel caos burocratico dopo le nuove leggi su residenza e cittadinanza, in cui - tra gli altri- sono rimasti coinvolti centinaia di migliaia d'italiani.
Dal punto di vista macroeconomico, dal secondo trimestre 2016 al primo trimestre 2021, l’economia inglese è diminuita del 4.3%, mentre nell’eurozona (con l’eccezione dell’Italia) l’economia è cresciuta dell’1.3%.

 La sovranità, nel caso inglese rappresentata da un governo che ha avuto la fiducia del 44% degli elettori, è la radice fondamentale del potere di uno stato. Ma nell’economia globalizzata, essere sovrani non basta per gestire i propri scambi commerciali per accrescere il proprio sviluppo. Bisogna affrontare i problemi globali come il cambiamento climatico, oppure, com’è accaduto nell’ultimo anno, arrestare la diffusione del Covid.  Per andare avanti c’è un problema di cooperazione internazionale, che si regge sul dialogo e sulla persuasione, e che va ben oltre la sovranità nazionale.
Non a caso a partire dalla Le Pen (storica avversaria dell’Europa Unita), nessuno parla più di Frexit (per Italexit qualche buontempone è rimasto). 

La Brexit non è stato un disastro, fino ad oggi. Ma la strada è ancora lunga per esprimere giudizi definitivi.  Qualche amico di strada, come Trump (che voleva la dissoluzione dell’Unione Europea) è uscito di scena; ha perso e poi si è disperso, tra liti giudiziarie e controversie fiscali.
La sconfitta in una partita di calcio è poca cosa, perché il calcio è solo un gioco. Ma talvolta - come per i bambini - i giochi sono una cosa molto seria.


  

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