Qualcosa non va, a prescindere. Il video del rider di Napoli, picchiato e derubato del motorino da sei delinquenti minorenni, suscita rabbia, sconcerto e tanta amarezza. È una violenza morale e fisica inaccettabile, quella di sottrarre l'unico mezzo di sostentamento a un lavoratore precario che rischia la vita, in mezzo al traffico, per quattro spiccioli. La vittima non è un ragazzo, ma un cinquantenne padre di famiglia, che prima di vestire i panni del rider ha trascorso quindici anni della sua vita a lavorare tra il gruppo Rinascente e Auchan per poi essere licenziato.
Ciò che gli è successo mette a nudo un contesto che è tutto sbagliato: la precarietà di un lavoro svolto senza adeguate garanzie; una banda di balordi che agisce indisturbata, senza che nessuno intervenga o chiami le forze dell'ordine (durante l'aggressione sono passate diverse auto); i centri urbani (i borghi mercantili di Max Weber) spenti a causa della pandemia. E poi c'è la crisi, il lunario da sbarcare. Già toccava il cuore vedere quei ragazzi sfrecciare sotto la pioggia in queste giornate di gelido inverno. Davvero si sta facendo qualcosa per loro? Per offrire garanzie o, ancor meglio, alternative a una precarietà così estrema? A sostegno dell'uomo aggredito è scattata una gara di solidarietà: dalla raccolta di fondi alle offerte di lavoro. Vanno bene anche i riflettori puntanti sulla vicenda, oggi. Ma è il dimenticatoio di domani che non andrebbe più permesso.
Non dovrebbero esserci sedicenni (per l'esattezza sei, su due motorini, in pieno coprifuoco) che rapinano un precario e, forse, non dovrebbero esserci neanche i rider.
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