Lunedì sera, quando si è diffusa la notizia del divorzio tra Bill e Melinda Gates (anzi, ora è meglio abituarsi a chiamarla Melinda French), su Twitter fioccavano le battute sul fatto che non si trattava certo di una separazione di quelle pirotecniche, tipo quella tra Jeff Bezos e la ex moglie MacKenzie Scott dove almeno c’era un’amante (di lui) di mezzo con rivelazioni da tabloid susseguenti. Tra l’altro con foto fornite con tutta probabilità dal fratello dell’amante stessa. C’era chi notava che «il divorzio senza emersione dell’amante vale la metà al borsino di Internet». E chi rispondeva che i Gates «sono così noiosi che avranno litigato sull’efficacia dei vaccini a Rna messaggero». Lo stesso comunicato della separazione, anche se postato su Twitter, sembrava un comunicato stampa scritto da un burocrate intermedio dell’impero Vogon, cioè della stirpe più noiosa dell’universo, secondo la «Guida galattica per gli autostoppisti».
Insomma tutto tranquillo e un po’ noioso. Quasi come la Microsoft. E forse proprio questo è il punto. Bill Gates è l’ipostasi del sistema operativo che ha inventato (assieme a Paul Allen che però è una specie di gemello oscuro di Gates): tutto sostanza e pochi, pochissimi, voli pindarici.
Un fido strumento da lavoro – a volte bizzarro e non sempre particolarmente brillante – che comunque non ti pianta in asso. O almeno quasi mai. Apple – e il suo fondatore Steve Jobs – erano l’esatto contrario.
La sostanza c’era, naturalmente, ma la forma era più importante. Tanto che nella pubblicità comparativa di Apple, la casa della Mela era rappresentata da un tizio belloccio vestito casual, mentre Microsoft da un «pc guy» – John Hodgman, attore e comico strepitoso, tra l’altro – che aveva la faccia somigliantissima a Gates e vestiva quasi come lui: giacca misto Terital, camicia a quadri e pantaloni chino beige. Un inno alla mediocrità vincente.
Eppure i risultati di Microsoft sono stati tutto fuorché mediocri. E lo stesso Gates si è sempre dimostrato un uomo d’affari determinato e spietato nel raggiungere i fini prefissati.
Prendiamo, per esempio, il momento di maggior difficoltà della società di Seattle, cioè l’avvento di Internet che Gates aveva all’inizio snobbato. In pochissimo tempo Microsoft si dotò di un passabile software di navigazione, cioè Internet Explorer, rendendolo gratuito per poi praticamente inscriverlo nel sistema operativo, pratica che poi fu sanzionata almeno nell’Unione europea. Con questo tipo di mosse, molto aggressive, assolutamente spietate e certamente rivoluzionarie, il pacioso Bill Gates sterminò la concorrenza. La situazione trovo un suo equilibrio solo quando entrò in gioco un altro Tirannosauro affamato, cioè Google con il suo browser, Chrome.
Ecco, Bill e Melinda sono un po’ così. All’apparenza sono molto «middle class» con un gusto assoluto per l’«understatement», lo stare sotto le righe. Ma sotto questa scorza «normie», c’è una volontà d’acciaio che, per fortuna di tutti (e soprattutto della concorrenza), ora si è indirizzata alla filantropia. Ma se fossi una zanzara anofele (il vettore della malaria), sapendo che Bill Gates vuole sradicare la malattia, non dormirei sonni tranquilli.
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