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Premio al Regio, un bel segnale in tempi drammatici

Premio al Regio, un bel segnale in tempi drammatici

di Vittorio Testa

18 Aprile 2021, 08:34

Di questi tempi, gioire senza misura per la vittoria di un pur prestigioso premio teatrale, potrebbe essere giudicato un esercizio retorico, vacuo e fuori luogo. Una comunità assediata e ferita ogni giorno dalla pandemia, in trincea da più un anno,  e con uno scenario futuro incerto, ha ben altro, si dirà, a cui pensare. Verissimo. Ma sarebbe sciocco e autoflagellante ignorare la valenza civile oltre che artistica del fatto che il Teatro Regio abbia portato a casa il  «Premio Abbiati», una delle "medaglie d’oro" in campo operistico, per l’allestimento del «Macbeth» nella versione francese, andata in scena l’estate scorsa nell’ambito del Festival Verdi. 

Sì, è un premio proprio "portato a casa" dalla maestria di  una tradizione tra le più nobili di Parma, una tradizione che per la capitale del «Paese del Melodramma», per citare Bruno Barilli, è di importanza vitale, indispensabile. Perché se è vero che per filosofare occorre per prima cosa vivere, è altrettanto certo che senza il Regio e il culto dell’Opera, Parma sarebbe una bellissima città dalla fiorente industria multiforme, ma diciamo senza quel "quid" che la rende –sì, e sia detto senza stupide presunzioni- unica al mondo. Carlo Bergonzi, il celeberrimo tenore diplomato al Conservatorio Arrigo Boito, una sera se ne uscì con un’immagine suggestiva: «La nostra terra è bellissima, da vedere ma anche da sentire con in testa la colonna sonora di un’aria verdiana, provare per credere». Dite che è una sciocchezzuola svenevole? Proviamo. Andiamo verso Palazzo dalla Rosa Prati con nelle orecchie,  a caso, un motivo del grande Roncolese. E arrivati in piazza Duomo  facciamo partire un  «Va, pensiero» o il preludio de «I Masnadieri» o quello della «Traviata». O un «Ma se m’è forza perderti»: magari cantato proprio da Bergonzi. Che una sera a Berlino, finita l’aria fu avvolto in un applauso di quelli lunghi lunghi, a folate d’emozione: e a quel punto von Karajan, posata la bacchetta sul leggio, si unì al battimani del pubblico. Testimone  e partecipe un "Arciparmigiano", Pietro Barilla, che salutò in Bergonzi l’autore di un’impresa memorabile: «Lei è riuscito a commuovere un monumento». 

Dicevamo, prima di questa deviazione sentimentale, della quale chiediamo scusa a chi non è piaciuta, che Parma senza il Teatro Regio, sarebbe come Roma senza… il Parlamento? Per carità, meglio usare il Colosseo o Piazza Navona… Al di là delle facezie più o meno riuscite, è chiaro a tutti che questo premio non cambierà nulla sul fronte dei tamponi e dei vaccini. Ma il merito di ravvivare l’orgoglio delle Parmigianità è indubbio. Pertanto è d’obbligo un «grazie e complimenti» al Teatro Regio, ad Anna Maria Meo, direttore generale, a Roberto Abbado, direttore musicale. E grazie Parma.   

 Vittorio Testa
 

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