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Quei politici sempre in cerca di una nuova casacca

Quei  politici sempre in cerca di una nuova casacca

di Vittorio Testa

20 Maggio 2021, 08:48

Da quando c’è lui, in poco tempo ha già fatto più di tutti quanti gli altri hanno fatto in anni…». Sta diventando un’idea coatta, quella che finalmente sia arrivato il «lui» mandato dalla divina provvidenza bancaria a risanare i conti pubblici e far ripartire un Paese che somiglia a una macchina quasi esausta, ferma da tempo ai piedi  di Cima Coppi,  con poca benzina e un’infinità di tornanti da affrontare. Ormai sfiduciati nei confronti del ceto politico, cultori di un antipartitismo incredibilmente ingrossato dagli stessi partiti auto flagellanti, come sempre nei momenti  difficili invochiamo una guida carismatica che arrivi,veda e vinca in fretta: è la nostra titanica,  beethoveniana attesa del  «sovvenire di un grande uomo». Ce ne sono stati tre: Benito, Bettino e Silvio. Il primo si sa com’è finita; il secondo ha firmato la propria condanna accusando a viso aperto tutti i partiti di finanziamenti irregolari o illeciti e sfidando i colleghi a negarlo pubblicamente. I quali colleghi, «chìnati giunco che passa la piena»,  sono rimasti «schisci», come dicono a Milano. Il terzo, Silvio, detentore del record di longevità governativa (1440 giorni) da quando fa politica passa mezza giornata a  preparare la difesa nei suoi cento e passa guai giudiziari tutt’ora in corso. 

Ricordato di che lana andiamo vestiti, pronti all’Osanna - «Draghi è l’unico» - e al subitaneo disamore - «Non va bene, l’avevo detto» -  conviene inquadrare la situazione politica e parlamentare in cui siamo precipitati. Abbiamo votato nel 2018, al termine di una legislatura che ha conquistato il vergognoso record di cambi di casacca: 540 tra deputati e senatori che hanno lasciato il seggio al quale erano stati eletti, trasmigrando in altri gruppi, in non pochi casi passando addirittura dall’opposizione alla maggioranza. Il voto degli elettori tradito, l’assetto uscito dalle elezioni in gran parte cambiato nel corso della legislatura. Viene nominato un presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, non eletto né in questa tornata né mai. Ma è una tradizione: Ciampi, Dini, Amato, Monti, Renzi. Conte cade per mano di Salvini? Conte ritorna su un cavallo sellato da centrosinistra. Sempre con Di Maio, anfibio sodale dell’anfibio Conte, per i quali e destra e sinistra «pari son». Poi l’azzimato premier viene disarcionato da Renzi. Si va a votare? Macché. Il Paese è allo stremo economico, e la pandemia è un  mostro che dissemina disastri. Il presidente Mattarella incarica Mario Draghi, accolto con squilli di fanfara e ovazioni da tutti come il salvatore europeista. Una nomina extraparlamentare che aumenta i conflitti nel Parlamento. Nei primi tre mesi dell’anno fioccano i cambi di casacca a ritmo vertiginoso: siamo a quota 246 tra senatori e deputati che sono trasmigrati in altri gruppi.

Ancora una volta il risultato delle elezioni viene tradito, patteggiato, contrattato. E i partiti anziché darsi regole virtuose per limitare quanto meno il fenomeno dei ‘’tutti gabbati’’ compiono esercizi di auto castrazione. Inneggiano a lungo alla riduzione del numero dei parlamentari. Approvano con maggioranza schiacciante la relativa legge elettorale. Poi cercano di disinnescarla, sottoponendola a referendum, perso il quale adesso stanno studiando di farne una nuova per evitare i tagli. Nel frattempo Mario Draghi ha l’appoggio di tutti. E’ calma vera o apparente? Sembrerebbe giusta la prima ipotesi. Ma qualcosa sta cambiando. Aumentano le dichiarazioni dei politici che promettono lealtà preceduta da un avvertimento superfluo: «Premesso che la nostra posizione è di assoluto sostegno nei confronti del premier e del Capo dello Stato…». Il vezzo retorico dell’immascheramento critico. Promesse che spesso si rivelano… premesse da marinaio.  


 

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