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Risse giovanili: ultimo appello dei ragazzi per i genitori

Risse giovanili: ultimo appello dei ragazzi per i genitori

di Vittorio Testa

27 Febbraio 2021, 08:36

Ormai è certo: le risse giovanili  sono quasi tutte programmate, a volte addirittura seguendo una “scaletta” precisa fin nel minimo dettaglio. Il caso più eclatante resta quello dei ragazzi che hanno mosso all’assalto del centro di Gallarate sulla base di una strategia da commando. Molti rissaioli erano arrivati in treno da Milano e dintorni, avevano l’appuntamento in luoghi precisi, dai filmati delle telecamere urbane fisse si capisce che è stata una battaglia preordinata.

Anche gli scontri analoghi accaduti a Parma e a Fidenza, in un primo tempo apparentemente casuali, hanno avuto un andamento progressivo alimentato via via con mosse previste da una sommaria ma efficace regia. Poi dentro lo scontro aperto a tutti accadono episodi drammatici, catalogati alla voce “imprevisti”, ma facilmente immaginabili, come il ragazzo ucciso a calci e pugni a Roma. Parma sembra ora uscita da quell’incubo violento che gravava sul centro, in particolare, vedi l’ironia beffarda della toponomastica, in piazza della Pace. Il lavoro capillare di indagini e di sorveglianza preventiva deciso dai comandi di Polizia e Carabinieri sembra aver dato buoni frutti (gesti di scongiuro ammessi).

Ma il problema persiste, la prassi del ricorso alla violenza è radicata in moltissimi giovani. In campo c’è la generazione dei nati dal 1997 in poi fino al 2007, al’incirca dai 14 ai 24 anni. Cresciuti  in un clima di insicurezza e paura, con i genitori alle prese con un sommovimento epocale: l’euro che ha dimezzato il valore della vecchia moneta (ricordiamo i negozi di “Tutto a 1 lira” diventati “Tutto a 1 Euro”?); l’11 settembre 2001, le torri gemelle e il conseguente panico da rischio di attentati; via via prendeva sempre più consistenza una crisi economica gravissima che esploderà, devastante, nel 2008. Data dalla quale tutto è peggiorato: disoccupazione, criminalità, inquinamento, ceto politico scadente, qualità della vita in calo costante. E la famiglia e la scuola, i due perni della formazione civica e civile, decisamente deficitari. 
Certo, non tutto è perduto, il pessimismo dei profeti di sventura è diventato una quotidiana manna per i loro introiti televisivi.

Ma i danni dell’informazione distorta, di una programmazione tv e della produzione di film raccapriccianti, e infine Internet e i social  usati a fini aggressivi hanno segnato a fondo la società. E adesso, da un anno la pandemia: e cioè  il coprifuoco, l’assenza di socialità, negozi e ristoranti che chiudono, l’industria in grave difficoltà, l’aumento delle nevrosi domestiche, l’incertezza sul futuro, ogni mattina il computo delle morti. Se già prima l’ottimismo era un esercizio difficile, figuriamoci ora, quando  proprio i giovani che noi adulti abbiamo educato o diseducato, sfidano la realtà rifuggendone, pervasi da rabbia e da pulsioni aggressive.

Psicologi e psichiatri, neurologi e sociologi, si affannano per cercare di capire errori compiuti e possibili rimedi. È un normale conflitto generazionale, sostengono alcuni, acuito dalla pandemia. Una ribellione contro la società che non garantisce più la possibilità di crescita e di benessere: anzi assicura un domani di lacrime e sangue. Di qui il rifiuto della mascherina, significante la rassegnazione imbelle di una società che ha fallito il suo compito e corre verso il disastro. Interpretazione diversa e suggestiva è quella proposta da psicologi e psicoterapeuti come Sibilla Ulivi, la quale nega che vi sia un conflitto generazionale, quanto una rinuncia dei padri al loro ruolo di cittadino educatore: «L’uomo asservito alla logica del consumo» spiega la dottoressa milanese,«insegue un godimento senza freni, non più gravato dal peso di ideali e dell’osservanza della legge».

Ne  deriverebbe la rinuncia al confronto e la perdita di autorevolezza da parte dei genitori, assillati dal culto dell’immagine e del successo a ogni  costo. In pratica noi adulti vediamo i nostri figli come elementi di impedimento o prolungamento del nostro successo. Discutere? Far valere il proprio ruolo di padre e madre che discutono e poi  decidono? Nemmeno parlarne: potrebbero nascere contrasti e litigi, meglio stare zitti  e lasciare al figlio la sensazione di essere un coetaneo che può anzi deve decidere da sé. Che le risse e le movide serali siano l’ultimo appello dei nostri figli a far sì che ridiventiamo genitori autorevoli e maieutici?   
 

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