C’è un evento incombente sulla comunità nazionale che potrebbe cambiarne le prospettive così profondamente da poterci interessare tutti.
Si tratta del vertice europeo iniziato ieri - e che si concluderà oggi salvo imprevisti che potrebbero suggerire una nuova sessione per lunedì 20-. Esso rappresenta l’ennesimo appuntamento sulla nuova strada apertasi per merito della Commissione presieduta da Ursula Von der Layen, su sollecitazione - soprattutto - francese, tedesca e italiana. Una nuova strada che - se percorsa sino in fondo - avrà la conseguenza diretta di porre le basi sostanziali della trasformazione in senso federalista dell’Unione. Sin qui l’Europa non è stata né carne né pesce: anzi è stata più pesce che carne, intendendo per «pesce» una situazione più simile a un mercato comune che a una vera comunità di stati.
Con l’introduzione di un principio di solidarietà economica tra nazioni, per il quale non solo gli stati non-bisognosi aiutano gli stati bisognosi ma anche l’Unione acquisisce il ruolo di supremo e terminale raccoglitore di risorse sul mercato e, quindi, di distributore delle stesse, entra in ballo un’entità comune e superiore capace di indebitarsi e di avere una sorta di personalità politica, finanziaria ed economica accresciuta, premessa indispensabile per alcune omologazioni non più rinviabili se si vuole che essa sia un soggetto protagonista, con altri, delle politiche globali. È ovvio che le omologazioni necessarie (fiscale, di esposizioni debitorie, di libertà ed efficienza dei mercati interni, di funzionalità della pubblica amministrazione, di competitività di sistemi), riguardano in particolare l’Italia che, sin qui e a parte il tentativo generoso, ma fallito, di Renzi, ha perso il treno del riformismo modernizzatore.
La questione di fondo è semplice: se fossi indebitato con la Cassa di risparmio, avessi i miei beni immobili ipotecati, problemi di liquidità e la mia azienda fosse prossima a dover portare i libri in tribunale, è normale e pacifico che la Cassa potrà ulteriormente finanziarmi e sostenermi solo alla condizione che io mi comporti in modo coerente con lo stato dei miei affari. Stupirci che le nazioni «frugali» pretendano garanzie per i quattrini che dovrebbero toccare all’Italia è irrazionale ed errato.
Certo, una posizione del genere comporta limiti alla sovranità nazionale e alle libertà politica dello Stato italiano di adottare politiche sciagurate.
Ma anche io come persona indebitata con la Cassa di risparmio, se vorrò uscire dai guai, dovrò subire una certa limitazione della mia libertà economica.
Cristine Lagarde l’altro ieri, parlando dell’imminente Consiglio d’Europa, ha affermato che i finanziamenti da distribuire debbono «essere profondamente ancorati a solide politiche strutturali».
Una buona notizia per il mondo produttivo italiano, imprenditori e lavoratori tutti, che ogni giorno paga le inefficienze di sistema e il diffuso sciocchezzaio populista.
L’irritazione manifestata dal premier Giuseppe Conte è invece indicativa di una volontà di continuare come prima (rapporto debito/Pil oggi oltre il 161%), di non mettere le mani a politiche strutturali che spazzerebbero via demagogie e demagoghi a beneficio degli italiani.
Su questa antinomia si gioca il futuro degli italiani.
Per noi, l’Europa, con le sue politiche virtuose, è un’opportunità da non perdere.
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