Mao Tse sosteneva che non è importante il colore del gatto, ma se o meno catturi i topi. Quindi, nel caso nostro, non è importante chi sia al governo e con quale formula politica, né il risultato della verifica, ma se il potere sappia come «maneggiare» le questioni in ballo. Basta guardare al Recovery Fund.
1) Le potenzialità dello stesso sono ridimensionate dal nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Esso fa riferimento a un ammontare di investimenti inferiore ai 209 miliardi di euro disponibili (il che significa rinunciare a parte dell’impatto teorico). I nuovi investimenti ammontano a 105,5 miliardi; 90,5 miliardi sarebbero destinati a investimenti «altrimenti supportati da risorse nazionali». In realtà, poco più della metà dello stanziato, cioè 63,3 miliardi, pari al 60% dei “nuovi investimenti”, sarà speso in progetti pubblici, mentre il 40% (secondo il Pnrr) sarà finalizzato a incentivi alle imprese, riduzione contributi fiscali, spesa corrente e trasferimenti alle famiglie. Perciò, ciò che si propone di fare il governo è ben lontano dai 209 miliardi assegnatici. La parte “mancante” servirà a finanziare vecchi programmi.
2) Se, di fondo, questa scelta è un modo per limitare il debito pubblico, ormai sopra il 160% del Pil, essa non incide affatto sulla composizione delle uscite dello Stato: la spesa assistenziale e parassitaria continuerà a prevalere e tenderà ad assorbire la gran parte delle nuove risorse. Manca una visione e un impegno sulla via delle riforme della pubblica amministrazione, della giustizia, insomma tutto ciò che potrebbe far cambiare passo all’Italia. Niente di ciò che è stato promesso sul salto strutturale del Paese, è poi, nella realtà delle carte, previsto o voluto.
3) Sul fronte dell’innovazione digitale l’unica cosa che si intravvede è il Cash-back, mentre sul cambiamento ecologico il famoso 110%. Siamo seri: il Cash-back (5 miliardi) non ha nessun concreto obiettivo (tipo emersione del nero) e si sostanzia in un beneficio regressivo a favore delle classi ambiente. Il 110% per l’edilizia, amplia vecchi benefici, e anch’esso è regressivo e favorisce le classi abbienti. In entrambi i casi i benefici sono transeunti e non modificano in modo sostanziale l’efficienza della spesa pubblica.
Ora, Matteo Renzi, dipinto come un inaffidabile Gian Burrasca, con una lunga lettera - un documento politico alternativo -, ha posto sul tavolo di Giuseppe Conte i temi fondamentali di cui sopra e ne ha aggiunto altri, egualmente fondamentali, come quello della scuola e quello -cruciale- della campagna di vaccinazione anti-Covid. Ciò che importa è stabilire se i rilievi siano fondati. In merito, basti rileggere le dichiarazioni di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria - interessato a un effettivo rilancio del Paese-, per rendersi conto di quanto siano (i rilievi) importanti e condivisibili. Ed è realistico immaginare che nessuno degli esponenti politici di maggioranza e di opposizione ignori le questioni, che rendono evidente la dicotomia tra le ragioni dei partiti e le ragioni degli italiani. Il resto è cortina fumogena utile a non farci capire dove siamo e dove stiamo andando.
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