Mai come quest’anno abbiamo bisogno del Natale. Mai come quest’anno ci sembra negato. Suggestionati dalla prossima apertura della splendida chiesa di San Francesco – dove celebreremo i Secondi Vespri – pensiamo all’inventore del presepe. San Francesco di Assisi lo volle a Greggio nel Natale del 1223, tre anni prima della sua morte.
Un suo biografo ci dice che la sua aspirazione era di «osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di imitare perfettamente con tutta la sua vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e del cuore la dottrina e gli esempi del Signore Nostro Gesù Cristo» (FF 466) «soprattutto l’umiltà dell’incarnazione e la carità della Passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente gli riusciva di pensare ad altro» (FF 467). Chiede allora di preparare tutto per rappresentare la nascita di Gesù (FF468) e su un monte si riproduce la scena e si celebra la Santa Messa. Francesco, che è diacono, canta il Vangelo e alla parola «Gesù» si lecca le labbra perché ne sente una dolcezza infinita (FF 470).
Proprio dal Santo di Assisi, Papa Francesco ha trovato l’ispirazione per la sua terza enciclica: «Fratelli tutti». «Guardiamo con attenzione fratelli tutti il buon pastore che per salvare le sue pecore, sostenne la passione della croce…» (FF 155). Essere tutti fratelli e sorelle, secondo le parole stesse di San Francesco, viene dall’alto, dal Padre di tutti. Dalla sua scelta di farsi uomo per incontrare tutti.
Dal Natale nasce la fraternità universale: «Beato il servo che tanto amerebbe e temerebbe un suo fratello, quando fosse lontano da Lui, quanto se fosse accanto a Lui, e non direbbe dietro le sue spalle niente che con carità non possa dire in sua presenza» ( FF 177). Così continua Francesco: tutti siamo fratelli e sorelle, anche di chi non conosciamo e non vedremo mai.
La fraternità è universale ed inclusiva. Salva le diversità – ognuno deve essere se stesso – e innesta la dinamica della gratuità, andando oltre la logica del merito. Nella parabola del Buon Samaritano, la fraternità è attivata da uno straniero che si prende cura di chi lo disprezza e lo fa in forma gratuita, senza alcun interesse, anzi rischiando.
La gratuità può essere di tutti e si traduce in un processo che coinvolge gli altri, l’oste, e richiede strutture disponibili: la locanda, il denaro. Non è solo un gesto emotivo, isolato. Inoltre sostiene una speranza anch’essa universale, che comprende tutti: chi è incappato nei briganti e ne è rimasto vittima, ma anche i briganti stessi. Per le vittime e i colpevoli ci deve essere un futuro.
Esclude la logica dell’individualismo, secondo cui è l’individuo ad attribuire valore alle cose e alle persone perché siano funzionali ai suoi interessi. Tiene alto il valore della persona generando una responsabilità che si assume il peso degli altri, se ne fa carico. L’ I Care di don Milani ritorna con una urgenza nuova, comprendendo l’azione piccola, come la scelta planetaria.
La conoscenza del mondo, l’essere viandanti planetari, genera in ognuno una responsabilità, che non lascia scusanti. «Può darsi – diceva Martin Luther King – che non siamo responsabili per le situazioni in cui ci troviamo, ma lo diventiamo se non facciamo nulla per cambiarle». La fraternità gratuita e responsabile fa rileggere se stessi, il rapporto con gli altri e con l’Altro: «Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata, ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e lì ho trovato tutti e tre».
Questo è il Natale che ci serve. Lasciarci raggiungere da Qualcuno che viene dall’alto facendo spazio a tutti, prendendocene cura, nelle forme che ci sono possibili, come a cerchi concentrici, partendo da chi è più vicino e da chi è più fragile. Questo, ce lo ricorda Papa Francesco, è anche la via della Pace.
In piazza Garibaldi, a Parma, accanto all’albero c’è anche quest’anno la casetta con il presepe che non si vede subito. Bisogna avvicinarsi e affacciarsi. È fare un passo per riconoscere la cura di Dio che si fa carne e che, subito, è curata da una famiglia: Maria che lo avvolge in fasce e Giuseppe che si prende cura di tutto e di tutti.
Ho ricevuto in dono una statuina che rappresenta un’operatrice sanitaria. Mi è venuto spontaneo metterla lì, in quel presepe, a testimonianza della cura concreta di coloro che restano accanto, che si fanno carico, che offrono le cure e la cura. Un Natale di cura, di vicinanza nuova, proprio quando ci è negata una vicinanza fisica. Ma anche questo è prendersi cura. Buon Natale a tutti.
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