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L'importanza di chiamarsi in tanti modi ma non partito

L'importanza  di chiamarsi  in tanti modi  ma non partito

18 Giugno 2020, 09:08

LUCA TENTONI   
Su "Repubblica" di ieri, Carlo Galli si interroga sulla natura del Movimento 5 Stelle, affermando - in sintesi - che "non è un partito, perché gli mancano l'organizzazione e l'ideologia, ma non è neppure un movimento: il rapporto con la società è andato perduto". Sta di fatto, tuttavia, che quando Di Battista chiede un congresso per scegliere un nuovo capo del M5s, è come se chiedesse un nuovo segretario del partito. Non solo: i candidati - come accade proprio nei partiti, un po' meno nei movimenti - sono tutti ex deputati o parlamentari in carica (si parla perfino di Conte, che non è stato eletto alle politiche ma guida da due anni il governo del Paese, quindi non è proprio una figura da "uno vale uno"), perciò - anche se con tutte le dovute distinzioni - sono persone dell'apparato, cioè dell'establishment pentastellato. Che poi sia poco gradevole da dire, è vero. Del resto, questo pudore di non chiamarsi partito è molto diffuso. Tranne il Pd - che ha anche le strutture, sia pur ridotte o malridotte dei tempi della Prima Repubblica - gli altri rifuggono la definizione di partito come la peste: il primo è stato Berlusconi ("Forza Italia": un grido che dal 1994 molti tifosi di sinistra della nazionale di calcio hanno pronunciato faticosamente, evitandolo il più possibile), ma gli esempi sono sempre stati numerosi e significativi: da Alleanza democratica alla Rete, da Alleanza nazionale a Futuro e libertà, da Sinistra e libertà a Liberi e Uguali, dalla Lega (risalente agli anni Ottanta, però) a Fratelli d'Italia, da Azione a Più Europa

per non contare i partiti personali come Italia dei valori, Italia viva, Scelta civica, le liste Bonino e Pannella-Bonino o Sgarbi-Pannella. Il M5s non si è sottratto a questa logica, anche perché è, fra tutti i partiti effettivi ma che non si autodichiarano tali, il più lontano dai modelli ideali e organizzativi, come si diceva. Però, col tempo, ci si istituzionalizza. 
È un fatto che dal 2018 ad oggi i pentastellati siano gli unici ad avere ininterrottamente guidato il paese, in coalizione prima col partito di Salvini (anche quello, già personale con Bossi, oggi ancor più col nuovo capo leghista) poi con Pd, Leu e Iv. È anche un fatto che il capo politico del Movimento sia entrato in entrambi i governi e che ci siano stati capidelegazione dei ministri pentastellati: non è da partiti, questo? Ma, lo ripetiamo, il M5s è solo il soggetto politico più distante dall'idealtipo partitico, anche se in questi ultimi anni vi si è avvicinato parecchio. Certo, se confrontati con le strutture e il modus vivendi dei partiti della Prima repubblica, quelli attuali sono diversi. Ma hanno tre differenze fondamentali che non necessariamente li rendono migliori: 1) di solito sono personali, quindi c'è un capo che determina le fortune e le sfortune del soggetto politico (se gli va male, la barca affonda, come successe al solo Craxi negli anni '80-'90); 2) sono accentrati, quindi poco inclini a tollerare le minoranze interne: chi non è d'accordo, può andarsene ("che fai, mi cacci?" chiese Fini a Berlusconi; detto, fatto), il che provoca le "transumanze parlamentari" che nella Prima Repubblica non c'erano e che ora sono copiose; 3) hanno una struttura territoriale povera o inesistente perché non è più importante andare a parlare con le persone tutti i giorni, ma è meglio puntare tutto sui social e sull'aspetto mediatico (semmai, a fare il bagno di folla ci pensa il leader che si scatta i selfie con i seguaci). Soprattutto, i partiti non si definiscono praticamente mai come tali perché rappresentano il
"nuovo": ma, a parte la vulgata di un'elezione diretta del presidente del Consiglio e del governo fasulla, perché non è mai stata introdotta in Costituzione, dal 1994 in poi si è solo cambiato il sistema dei partiti, non l'assetto istituzionale e costituzionale (a parte il famigerato Titolo V della Carta Repubblicana, che a Stato e regioni ha fatto più danni della grandine). Cambiare tutto per non cambiare nulla o poco, insomma? A guardare il nome della cosa (il partito) sembra - purtroppo - proprio così.
 

 

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