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Recovery fund. Un piano che ci riavvicina all'Europa

Recovery fund. Un piano che ci riavvicina all'Europa

di Alfredo Alessandrini

28 Maggio 2020, 08:57

In attesa della decisione del Consiglio europeo del 18 e 19 giugno che discuterà del documento preliminare messo a punto dalla Commissione europea e presentato al Parlamento europeo, si stanno delineando le posizioni in campo  dei diversi Paesi sulla struttura di questo fondo per la ripartenza.
E’ chiaro che il tema è centrale sia sul sostegno alla ripresa economica dei Paesi più colpiti dalla pandemia che, soprattutto, sul ruolo finalmente adeguato dell’Europa rispetto alle risposte veramente significative ed efficaci a questa crisi.
La posizione del nostro Paese è chiara: si chiede un Recovery fund che superi i 1.000 miliardi di euro, con una parte importante concessa ai Paesi più colpiti dalla pandemia a fondo perduto.
La prima proposta  è arrivata da Germania e Francia che hanno lanciato l’idea di trasferimenti a fondo perduto (quindi non prestiti) ai Paesi colpiti dalla pandemia  fino a 500 miliardi euro.
Il primo commento è stato positivo in quanto la cifra netta che arriverebbe al nostro Paese, tenendo conto dei  trasferimenti al Bilancio europeo , sarebbe di 45 miliardi  che andrebbe a  coprire una parte importante degli stanziamenti previsti nei decreti del Governo.
In considerazione del fatto  che  una parte ulteriore del Recovery  fund verrebbe da titoli emessi con garanzia dei Paesi quindi con tassi bassissimi,  diventerebbe uno strumento veramente utile.
Poi, improvvisamente e inopportunamente,  arriva questo non paper del premier austriaco Kurz e dei tre Governi detti frugali, io direi rigoristi ad oltranza, Olanda, Svezia e Danimarca.
Non è chiaro se l’intervento a gamba tesa sia di tipo tattico o strategico, ma come ogni fallo di questo tipo ha fatto molto male: la domanda è a chi? All’Europa, che nel sentire comune delle persone era vista distante, disinteressata, non solidale. La realtà era diversa in quanto gli interventi delle Istituzioni europee, a partire dalla BCE, dalla BEI e dalla Commissione europea, sono già, nei fatti, decisivi. Ma scelte come quelle dei Paesi rigoristi allontanano la possibilità di fare un discorso serio e oggettivo sull’Europa. Cosa dicono questi Paesi, Svezia e Danimarca, a guida socialista, e Austria e Olanda,  a guida liberale, sul futuro Recovery fund? No ad aumenti del budget Ue, che sono alla base di  un Recovery fund significativo e veramente utile; no a prestiti a fondo perduto, che invece sono alla base della proposta franco-tedesca; sì a prestiti di durata massima di due anni  agli Stati bisognosi, condizionati a riforme e con obiettivi prefissati su settore sanitario, transizione verde, ricerca,  innovazione e digitalizzazione; si a forti controlli. Queste proposte sono, per il nostro Paese, inaccettabili ed inutili.
Non sono  queste, ovviamente, le proposte della Commissione europea e non saranno le decisioni del vertice Ue del 18 e 19 giugno.
Ma intanto sono diventate centrali nel dibattito sul Recovery fund ed hanno allontanato ancora di più l’idea della gente dall’Unione europea e dato ulteriore spazio alle idee nazionaliste. Quindi è un intervento dei quattro rigoristi solo dannoso.
Invece la proposta della Commissione, che ha ribattezzato il Recovery fund in «Next Generation Eu», è decisamente ambiziosa nella cifra complessiva e molto importante per quella riservata al nostro Paese.
L’importo è di 750 miliardi che si aggiunge agli altri già previsti: il totale complessivo degli interventi già messi in campo per il Mes (240 miliardi), per i finanziamenti alle Pmi della Bei (200 miliardi), per il sostegno alla Cig  ( 100 miliardi), per gli acquisti aggiuntivi di titoli di Stato da parte della Bce  (750 miliardi), per il bilancio poliennale 2021-2027 di 1.100 miliardi, e per il Next Generation Eu di 750 miliardi è di oltre 3.000 miliardi.  La quota dei 750 miliardi che spetta all’Italia è di 172,2 miliardi di cui  81,807 come sovvenzioni a fondo perduto e 90,398 come prestiti.
Le principali misure proposte, che ricordiamo saranno sottoposte al Consiglio europeo del 18 e 19 giugno, riguardano:  il Recovery and Resilience Facility che terrà conto  dell’impatto della crisi sui singoli Paesi e che prevede la formulazione di un Piano  nazionale di ripresa in linea con gli obiettivi del semestre europeo, con le riforme suggerite dalla Commissione e con i Piani sull’emergenza climatica e sulle fonti rinnovabili; il React-Eu, basato sulla politica di coesione a favore dei territori più colpiti dalla crisi; il Solvency Support Instrument per gli investimenti Bei per la ricapitalizzazione di imprese  entrate in crisi a seguito della pandemia; l’Invest Eu a difesa delle aziende strategiche nel settore digitale, delle tecnologie verdi, delle fonti rinnovabili;  infine sono previsti i fondi per la ricerca, per la sanità e per il rafforzamento della protezione civile.
La proposta della Commissione europea , come abbiamo potuto vedere in estrema sintesi, è veramente imponente e tocca tutti gli aspetti  della  ripresa dalla situazione di crisi causata dalla pandemia.
Come potremo presto vedere le soluzioni finali saranno molto diverse e senz’altro migliori anche per il nostro Paese rispetto a  quelle prospettate dai quattro Paesi rigoristi. Intanto, però, la loro pessima proposta ha tenuto il campo nella comunicazione facendo percepire, purtroppo, un’Europa sempre più lontana dai bisogni urgenti delle persone e delle imprese colpite dalla pandemia. Il piano presentato dalla Commissione speriamo possa riavvicinare le persone all’Unione europea e alla sua importanza per il nostro futuro.

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