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Berlusconi e la fine del centrismo moderato

Berlusconi e la fine del centrismo moderato

di Vittorio Testa

23 Ottobre 2019, 13:33

Berlusconi, dalla leadership al ruolo di gregario. Chi l’avrebbe mai detto? Gregario, e di quel Matteo Salvini per mesi e mesi visto come una jattura incombente sui nostri destini («L’Italia di Salvini e Di Maio sarebbe una tragedia’», Berlusconi, febbraio 2018), jattura che il Cavaliere aveva cercato di esorcizzare in tutti i modi, sottolineando la rozzezza e l’eccessiva aggressività del Matteo che andava via via conquistando consensi e voti, fino a rovesciare i rapporti di forza nel centrodestra e a sottoscrivere un patto di governo  proprio con Di Maio, nemico del Cavaliere a tal punto da pretendere – e ottenere -   l’esclusione di Berlusconi nei colloqui poi sfociati nell’accordo di governo «gialloverde». C’è qualcosa di definitivo in questa sottomissione del Cavaliere all’arrembante Salvini che dopo averlo battuto nella gara elettorale l’aveva addirittura umiliato giudicando Forza Italia superflua e anzi controproducente alleata nel gioco politico nazionale e assegnandogli il ruolo di partner  unicamente nelle elezioni locali. Quello del Cavaliere  appare in sostanza un addio al ruolo di Forza Italia dipinta dal suo fondatore come movimento liberale, anticomunista ma moderatamente disposto al dialogo e agli accordi con la sinistra, sostenitore dell’Europa capace di temperare le pulsioni estremiste della Lega e di Fratelli d’Italia. La consegna del bastone di comando a Salvini segna di fatto la fine del centrodestra, cade l’equivoco, appunto, del centro come luogo politico di raccolta dei moderati, un tipo di elettore ormai residuo e più ancora numeroso nel disertare le urne.
Per certi versi l’abdicazione di Berlusconi è una manna per Salvini e un motivo di chiarezza per gli elettori: si forma un blocco netto Lega-Fratelli d’Italia- e ciò che resterà di Forza Italia probabilmente dimezzata dalla diaspora verso la Lega (vedi Toti), in misura minima verso l’Italia Viva di Renzi. Il destino non sembra luminosissimo per quel manipolo di ostinati «centristi», capeggiati dalla Carfagna e Brunetta, decisi a rifiutare la leadership di Salvini. In questa fase politica, opaca e fluida, nessuno è in grado di immaginare lo scenario futuro. Il cambio di alleanze, il ribaltone che in pochi giorni  ha portato il maggior partito  d’opposizione al governo al posto della Lega, appare giorno dopo giorno sempre più precario, esposto a tutta una serie pericoli franosi, stante la diversità di opinioni e metodi esistente tra Pd e M5S. Una precarietà sottoposta a sollecitazioni quotidiane che il premier, questo Conte che, stabilendo un record nella storia repubblicana, in un anno e mezzo è già stato presidente del Consiglio di due maggioranze completamente diverse senza soluzione di continuità. Altro elemento che inciderà sul percorso politico è la questione del referendum abrogativo dell’attuale legge elettorale, sostenuto da Salvini e da otto Regioni. La Corte costituzionale vi ha già trovato materia non congrua o insufficiente  e sta rispendendo le richieste al mittente. Com’è ormai nostra consuetudine: facciamo le leggi elettorali puntualmente criticate dalla Suprema Corte, le cui osservazioni non vengono prese in considerazione. Quella in vigore dal 2005 al 2013, per esempio, a detta di tutti era una brutta legge. Ne conveniva persino il suo stesso facitore Calderoli, il quale giudicando la propria creatura «una porcata» l’aveva ineffabilmente soprannominata «Porcellum». Quella attuale reca già i segni di aggiustamenti, si chiama infatti «Rosatellum ter». E già si parla di ritoccarla: diventerà «Rosatellum quater» e magari poi «quinquies»? Chissà.

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