Ci sono ruoli sociali che conferiscono a chi li ricopre un potere talmente grande e potenzialmente invasivo da poter cambiare drammaticamente e definitivamente la vita delle persone che si trovano ad essere soggette a quel potere. L'ultimo e più choccante esempio in questo senso lo abbiamo avuto con la vicenda dei bambini che secondo la procura reggiana sono stati prima plagiati e poi strappati alle loro famiglie senza che ne esistessero i reali presupposti, al fine di lucrare sul sistema di affido.
Chiaramente in questo caso ci troviamo di fronte a una degenerazione della funzione degli assistenti sociali, motivata da abbietti fini di tornaconto personale a discapito di famiglie e minori. Ma al di là di tale situazione estrema, vale la pena riflettere su cosa abbia potuto consentire che ciò avvenisse. E questo qualcosa non può che essere individuato nel potere sostanzialmente illimitato che gli assistenti sociali possono esercitare sulle famiglie, unitamente alla totale discrezionalità nell'esercizio di tale facoltà, che solo teoricamente trova un limite nella decisione finale del giudice, visto che quest'ultimo, che non è un addetto ai lavori, non può non tenere conto del parere tecnico di professionisti della materia sociale, appositamente formati e abilitati per valutare e fronteggiare situazioni familiari difficili.
Ma quando in certi casi tali figure vogliono vedere anche quel che non c'è, interpretare a senso unico certi dettagli ingigantendone il significato demolire il ruolo dei genitori sminuendone pregiudizialmente la capacità di accudimento, eccedere nell'utilizzo dello strumento dell'affido come soluzione a ogni problema in seno alla famiglia, ecco che allora l'abuso nell'esercizio di un ruolo così delicato appare in tutta la sua drammaticità ed ecco che si spiana la strada agli eccessi di natura penale. Perché è evidente che chi nel Reggiano ha disinvoltamente posto in essere quelle crudeli pratiche a fini di lucro, l'ha fatto in un delirio di onnipotenza che trova una fondamentale sponda nella sostanziale insindacabilità che di norma è riconosciuta a chi esercita tale funzione, perché è molto più credibile il parere di un assistente sociale professionista che non quello di un genitore disperato e che in genere vive anche una situazione di oggettiva difficoltà.
Ogni potere è a rischio di abuso, ma lo è in misura tanto maggiore quanto più leggero è il contrappeso che si pone a bilanciamento di tale potere. Quello che è successo in Val d'Enza è l'evidente conseguenza di tale situazione di squilibrio, che peraltro rischia anche di mettere in cattiva luce i tanti assistenti sociali (che sono ovviamente la maggior parte) che invece svolgono con serietà e prudenza il proprio lavoro. Ma non è nemmeno giusto dover sperare di non imbattersi mai in quello sbagliato, perché dovrebbe essere il sistema nel suo complesso ad essere dotato degli strumenti necessari a evitare il rischio di una discrezionalità arbitraria e senza appello, che, come abbiamo visto, quando portata alle estreme conseguenze, ha il terribile potere di distruggere intere famiglie.
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