Sul finire della conferenza di Berlino, Angela Merkel ha più volte chiamato al telefono il generale Khalifa Haftar. Voleva chiedergli l’assenso al documento conclusivo dell’incontro. Non ha ricevuto risposta. Si è allora rivolto agli astanti e, sconsolata, ha detto: «Aspettiamo altri dieci minuti e poi diramiamo il comunicato». E così è stato: Haftar intendeva e intende mantenere le mani libere.
Un fallimento, dunque? Non lo si può dire. È già un successo avere messo allo stesso tavolo oltre alla Merkel e a Borrell (rappresentante politica estera Unione europea), Moussa Faki Mahamat (Unione africana), Ursula von der Leyen, Abdelmadjid Tebboune (Algeria), Erdogan (Turchia), Denis Sassou Nguesso (Congo-Brazzaville), Ahmed Aboul Ghelt (Lega araba), Mohammed bin Zayed (Emirati arabi uniti), Al-Sisi (Egitto), Mike Pompeo (Usa), Johnson (Regno Unito), Putin, Macron, Yang Jlechi (Cina), Gutierres (Onu) e Conte. Serraj e Haftar non si sono seduti al tavolo, per un complesso di ragioni, la prima delle quali è che entrambi deporranno le armi - se mai le deporranno - solo contemporaneamente, al momento giusto.
La dichiarazione finale vincola le due parti libiche a rispettare la tregua e tutti gli altri a non rifornirle di armi. Prima della fine del mese, a Ginevra si riuniranno gli ufficiali delle due parti (5+5) che costituiranno la commissione militare incaricata di sorvegliare la tregua e, se possibile, iniziare un percorso di avvicinamento. Tutto, peraltro, è poggiato sulla sabbia scivolosa dei deserti libici.
Haftar, che, alla vigilia di Berlino, ha bloccato i terminali petroliferi per assicurarsi una posizione di ulteriore forza, oggi domina la scena. Con lui Russia, Egitto, Emirati, Francia. Milizie mercenarie. Tribù comprate con i disprezzati dollari. Serraj è, all’evidenza, più debole. Gode dell’appoggio della Turchia e delle Nazioni unite.
Perciò il problema politico di fondo - costruire una Libia pacificata con uno stato unitario riconosciuto come tale dai cittadini - non è stato affrontato. Quante coincidenze e quante volontà dovrebbero convergere per una soluzione condivisa? E quanti paesi e fazioni in ballo preferiscono la situazione attuale?
Imbarazzante la posizione e la presenza italiana. Conte giunge a implorare a Mike Pompeo (per Donald Trump) un appoggio, segnalando il ruolo assunto da Russia e Turchia.
Insomma, abbiamo perso l’antica influenza e l’antico ruolo strategico. Berlino ne è la certificazione. Lo stesso allargamento del tavolo testimonia l’ininfluenza italiana. Illudersi è molto peggio di accettare la sgradevole realtà. Fornire soldati a un ipotetico contingente internazionale significa prenderci seri rischi senza nemmeno sapere cosa chiedere, in cambio.
Chiariamoci le idee, prima.
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